Milano, 5 aprile 2022 – Cosa vuol dire cambiamento climatico? Che livello di complessità sottende quest’espressione, entrata nell’uso comune? In cosa si traducono, nel concreto, gli impegni che sempre più attori stanno intraprendendo per rispondervi? Se i suoi effetti sono ormai sotto gli occhi di tutti, il “vocabolario” del cambiamento verso la sostenibilità ambientale non è altrettanto diffuso. Lessico articolato, per un fenomeno complesso quale il Climate Change, dalle molteplici implicazioni scientifiche, economiche e sociali.
Quantis, società leader per la consulenza ambientale, ha provato a fare chiarezza individuando le 10 parole chiave (più una) che, in questo 2022, entreranno sempre più nel dibattito quotidiano sul riscaldamento globale del pianeta. Un glossario sul clima che vuole essere un vademecum per comprendere la portata degli impegni che i Governi, le aziende e le organizzazioni stanno sottoscrivendo, e aiutare i consumatori ad orientarsi tra le affermazioni ed i claim di mercato.
Che livello di complessità sottende quest’espressione, entrata nell’uso comune?
Simone Pedrazzini, Director Quantis Italia commenta: “Le parole sono importanti, non solo nella vita quotidiana, come ci ricordava un grande regista. Alla crescente attenzione, e mobilitazione della società civile verso la sostenibilità, ha fatto eco negli ultimi anni un crescente e positivo impegno di Paesi, organizzazioni e aziende. Per questo motivo crediamo possa essere interessante e di valore approfondire alcune delle parole chiave che si sono andate diffondendo. Dall’incomprensione nasce la possibilità di fraintendimento e quindi il greenwashing; al contrario gli impegni positivi possono essere valorizzati dalla chiarezza espositiva”.
1. Antropocene
L’epoca geologica attuale in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, è fortemente condizionato dagli effetti dell’azione umana. Secondo gli studiosi questa nuova epoca geologica potrebbe essere iniziata alla fine del XVIII secolo, con la prima Rivoluzione Industriale: Antropocene, come indica il nome stesso coniato nel 2000 dal chimico e premio Nobel olandese Paul Crutzen, rappresenta quindi l’era dell’uomo, il periodo in cui gli esseri umani hanno un impatto enorme su tutti gli ecosistemi terrestri. Il report IPCC (International Panel on Climate Change) del 9 agosto 2021 ha avvalorato, senza lasciare adito a dubbi, questo impatto: per la prima volta attraverso una scelta lessicale risolutiva, definendo inequivocabile l’influenza delle attività umane sulle concentrazioni aumentate di gas serra nell’atmosfera.
2. Carbon Footprint
Carbon Footprint, o impronta di carbonio è un parametro che quantifica le emissioni di gas a effetto serra (o greenhouse gases, GHGs) causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse in tonnellate di CO2 equivalente.
Nel caso delle aziende, nell’analisi della propria Footprint, è utile ricordare una definizione relativa alla differenza tra lo Scope delle emissioni.
Si definiscono:
- Scope 1 le emissioni dirette di gas serra da parte delle imprese (emissioni derivanti dalla combustione di caldaie, forni o veicoli di proprietà, ecc)
- Scope 2: le emissioni indirette di GHG dovute a elettricità utilizzata per le attività “core” del business, sia legate all’attività produttiva che ai servizi
- Scope 3: tutte le altre emissioni indirette di GHG, conseguenza delle attività dell’azienda, che provengono da fonti non possedute o controllate dall’azienda, in genere come risultato delle attività di fornitori e clienti. In questo scope si trovano ad esempio le emissioni generate alla produzione delle materie prime, la logistica e la fase d’uso e fine vita dei prodotti venduti dall‘azienda.
3. Climate Change Mitigation
La mitigazione del cambiamento climatico (Climate Change Mitigation) si ottiene limitando o prevenendo le emissioni di gas a effetto serra e potenziando le attività che rimuovono questi gas dall’atmosfera.
4. Climate Neutrality
Per Climate Neutrality si intende il processo di raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di gas climalteranti in atmosfera. Un concetto simile, ma più vasto rispetto a quello di Carbon Neutrality, che faceva riferimento alla sola anidride carbonica, allargando l’ambito a tutti i GHGs. L’Unione Europea, in linea con gli impegni presi negli Accordi di Parigi del 2015 e ribaditi nella recente COP 26 a Glasgow, si è data l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e l’ha posta al centro del Green Deal.
5. Climate Strategy
Per Climate Strategy si intende la definizione di obiettivi basati su una quantificazione puntuale delle proprie emissioni, per attivare un percorso virtuoso, e costruire una tabella di marcia per raggiungerli. Una Climate Strategy indica le tappe di un percorso molto concreto verso la decarbonizzazione ed implica la scelta di azioni e innovazioni da adottare; verifiche da effettuare lungo le catene del valore; cambiamento nei prodotti e modelli di business; implementazione della governance a supporto.
Una volta che un’organizzazione abbia compreso le sue diverse emissioni, identificando quelli che in gergo si chiamano “hotspot”, punti caldi dal punto di vista dell’impatto climatico, potrà impostare una strategia di sostenibilità che cerchi di ridurre questi hotspot: in primis attraverso l’abbattimento, e se possibile l’eliminazione, delle sue emissioni di gas a effetto serra.
6. Net Zero
Una Net-Zero strategy prevede la riduzione attiva delle emissioni nella propria catena del valore e la rimozione unicamente di quella porzione residua di GHG che non possa essere eliminata per raggiungere il bilanciamento tra emissioni e rimozioni entro il 2050. Questo concetto, diversamente dal precedente, coincide con il lessico della “call to action” lanciata da IPCC, già citata, per limitare l’innalzamento delle temperature non oltre 1.5°rispetto all’età pre-industriale. Net zero strategy è un concetto più vasto rispetto a quello di “climate neutral” e che sottende non solo un obiettivo finale (bilancio tra emissioni e rimozioni) ma anche un percorso virtuoso e ben definito per raggiungerlo.
7. Science Based Target Initiative
Si tratta di una partnership tra Carbon Disclosure Project (CDP), United Nations Global Compact, World Resources Institute (WRI) e World Wide Fund for Nature (WWF) che si ripromette di dare corpo, a livello aziendale, agli impegni presi durante gli Accordi di Parigi per il contenimento dell’innalzamento delle temperature a + 1.5°rispetto all’età pre-industriale.
Aderire a SBTI significa dapprima mappare la situazione corrente delle emissioni legate all’attività aziendale, impegnarsi pubblicamente per garantire che la propria Climate Strategy sia in linea con gli obiettivi scientifici, aderendo ad un framework internazionalmente condiviso, con obiettivi analoghi per aziende paragonabili per dimensione o settori.
Soprattutto con riferimento ai due termini che seguono, cruciali ma di interpretazione molto variabile tra diverse fonti abbiamo scelto di privilegiare il lessico appunto di SBTI, che ha adottato per il 2022 un lessico particolarmente efficace e volutamente polarizzante.
8. Riduzione
Ridurre significa evitare la generazione, nella fase produttiva di beni, servizi ed energia, di gas ad effetto serra (GHG). In inglese viene definita Abatement (riduzione nella propria value chain).
L’IPCC ha sottolineato la necessità di dare priorità a profonde riduzioni delle emissioni di CO2 (41-58% entro il 2030 e 91-95% entro il 2050) nonché alle riduzioni delle emissioni di metano (CH4) e protossido di azoto (ON2).
9. Compensazione
Con il termine italiano compensazione facciamo riferimento a due tipologie di intervento: interventi di rimozione (Neutralization in inglese), che hanno l’obbiettivo di rimuovere la CO2 dall’atmosfera e stoccarla in maniera permanente, oppure interventi di “evitamento”, che significa riduzione delle emissioni al di fuori della propria value chain (in inglese Avoidance) ovvero il finanziamento di interventi che aiutino altri a ridurre le loro emissioni.
I progetti di rimboschimento, molto noti e popolari, fanno parte di questa categoria; con compensazione si intende spesso anche fare riferimento all’acquisto di “crediti” di CO2 sul mercato “volontario”, secondo le definizioni previste dal Protocollo di Kyoto entrato in vigore nel 2005. A diverse categorie di compensazione, come visto sopra, faranno riferimento crediti di diversa qualità.
Altri esempi? Processi di stoccaggio del carbonio, ma anche di ripristino del territorio, di ecosistemi quali torbiere, foreste terrestri o mangrovie. La logica è quella del reintegro di risorse ambientali depauperate con risorse equivalenti: sono molto diffusi anche progetti di creazione di habitat umidi o di salvaguardia della biodiversità, ma richiedono un attento monitoraggio perché il loro effetto positivo potrebbe, ad esempio, dispiegarsi nel medio-lungo periodo, in un orizzonte temporale diverso rispetto al danno ambientale che intendono “pareggiare”.
Lo standard SBTI al proposito sottolinea, rispetto a quelle misure che le aziende adottano per rimuovere il carbonio dall’atmosfera e immagazzinarlo in modo permanente, la necessità di fare ricorso alla compensazione solo per controbilanciare l’impatto di quelle emissioni che rimangono invariate, dopo avere implementato profonde azioni di riduzione (vedi #8).
10. Greenwashing
Greenwashing è un neologismo composto dalle parole green (ecologico) e whitewash (insabbiare, nascondere qualcosa). Con questo termine si indica l’insieme di strategie di comunicazione e iniziative marketing – attuate da aziende, organizzazioni o istituzioni politiche – finalizzate a costruire un’immagine green, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente, dovuti alle attività o ai prodotti dell’impresa stessa. Il greenwashing può essere volontario o involontario, legato alla mancata comprensione degli impatti reali di una scelta aziendale rispetto alla “big picture”, al quadro di riferimento ben più ampio degli effetti dell’intera attività produttiva sull’ambiente, che si ottiene invece con una precisa mappatura degli “hotspot” ambientali.
10+1. Planetary Boundaries
La definizione di Planetary Boundaries, i “confini planetari”, fa riferimento ad un modello scientifico recente (2009) che prese le mosse dal celebre “The limit of Growth” del Club di Roma (1972) e ne offre una formulazione più completa e precisa. I Planetary Boundaries corrispondono a 9 aree operative (operating space) che l’umanità dovrebbe monitorare con regolarità, per continuare ad agire nel perimetro di salvaguardia ambientale e rispetto alle quali sono necessari interventi mirati al fine di perseguire uno sviluppo rispettoso della sostenibilità.
Si tratta cioè di limiti ambientali entro i quali l’umanità può operare in sicurezza, superati i quali possono verificarsi cambiamenti ambientali bruschi e irreversibili con gravi conseguenze. I 9 confini planetari sono:
- Cambiamento climatico (limite già superato),
- Cambiamento dell’integrità della biosfera – perdita di biodiversità ed estinzione di specie (limite già superato)
- Esaurimento stratosferico dell’ozono, assottigliamento dello strato d’ozono
- Acidificazione degli oceani
- Flussi biogeochimici – cicli del fosforo e dell’azoto (limite già superato)
- Cambiamento del sistema-terrestre, uso del suolo (limite già superato)
- Disponibilità di acqua dolce
- Carico di aerosol atmosferico (particelle microscopiche nell’atmosfera che influiscono sul clima e sugli organismi viventi)
- Nuove entità (sostanze chimiche sintetiche, plastiche, pesticidi, antibiotici e altre molecole farmaceutiche “attive” – particelle con potenziali effetti geofisici e/o biologici indesiderati). Anche quest’ultimo limite è stato superato come evidenziato da un recente paper scientifico (gennaio 2022, “Outside the Safe Operating Space of the Planetary Boundary for Novel Entities”), che per primo ha stimato il superamento del limite consentito in termini di plastica, pesticidi, composti industriali e sostanze chimiche sintetiche.