Cultura organizzativa: l’anello mancante che rompe o fa quadrare il cerchio delle aspirazioni di sostenibilità

organizational culture

Per rendere la sostenibilità parte integrante e componente intrinseca delle attività economiche, le aziende hanno il compito di integrare una maggiore apertura al cambiamento dal punto di vista della cultura organizzativa e delle strategie commerciali.

In breve:

  • Costruire una solida cultura della sostenibilità rappresenta un requisito essenziale per concretizzare una trasformazione verso un business più sostenibile e operare nel rispetto dei planetary boundaries.
  • Quando, come succede per molte aziende, la cultura organizzativa è tuttavia restia al cambiamento, le probabilità che gli sforzi intrapresi in ambito di sostenibilità siano efficaci o riescano a produrre miglioramenti decisivi diventano estremamente scarse. 
  • Creare resilienza per far fronte alla crisi ambientale significa abbracciare il cambiamento. Per rendere la sostenibilità uno dei pilastri centrali delle attività economiche, le aziende hanno il compito di integrare una maggiore apertura al cambiamento dal punto di vista della cultura organizzativa e delle strategie commerciali. 
  • Nel tentativo di promuovere cambiamenti concreti nella cultura aziendale, i dirigenti devono innanzitutto esaminare e definire la cultura esistente, riconoscendone i principali elementi responsabili del fallimento di iniziative orientate al cambiamento.
  • I vertici aziendali devono dimostrare che la sostenibilità ricopre un ruolo prioritario al pari del successo finanziario, dell’efficienza operativa, della salute, della sicurezza e di molti altri aspetti essenziali per l’azienda. E devono farlo con misure volte a diffondere gli obiettivi di sostenibilità su ampia scala e trasversalmente nell’intera organizzazione, offrendo corsi di formazione e perfezionamento, integrando la sostenibilità nel processo decisionale e assicurandosi che tutti i membri dell’organizzazione abbiano ben chiaro il contributo che possono apportare all’agenda di sostenibilità.

Questo è il primo di due articoli appartenenti a una serie che esplora il ruolo della cultura organizzativa nel determinare il successo o il fallimento delle ambizioni di sostenibilità in ambito aziendale.

Siamo ormai vicini alla resa dei conti: il termine per dimezzare le emissioni entro il 2030, infatti, diventa sempre più incombente e le aziende stanno accelerando il passo per limitare il riscaldamento globale a 1,5˚C. In molte, tuttavia, hanno ben presto realizzato che le strategie di sostenibilità e gli obiettivi basati sui dati scientifici, per quanto ambiziosi, da soli non bastano per mettere in atto un cambiamento significativo.

Investimenti insufficienti, organizzazione a compartimenti stagni, cultura del cambiamento a piccoli passi, eccessiva cautela, pratiche commerciali ormai datate e aspettative finanziarie pongono un freno rilevante alle aziende. Questi fattori sono tuttisintomatici di una cultura aziendale restia al cambiamento e costituiscono la prova tangibile che, quando si parla di trasformazione sostenibile, la cultura organizzativa ha un suo peso, tutt’altro che trascurabile. La cultura aziendale fornisce un esempio per i comportamenti, guida i processi e ha un grande impatto sulla motivazione dei dipendenti.

Se la cultura organizzativa su cui si basa la vostra azienda è in contrasto con gli obiettivi che state cercando di raggiungere, sarà impossibile realizzare i cambiamenti necessari per prepararla al futuro e operare nel rispetto dei planetary boundaries.

Cultura aziendale: un corso accelerato

La cultura è un motore talmente potente da rendere inermi anche i leader più capaci. In molti, spesso, la ignorano del tutto oppure la percepiscono come un fattore al di sopra del loro controllo, quindi da non considerare nelle loro attività quotidiane. Se i suoi aspetti negativi risultano notoriamente difficili da cambiare, quelli positivi sono invece terribilmente delicati. Ma di cosa stiamo parlando nel concreto?

La cultura organizzativa instaura e rafforza le aspettative nei confronti dei valori di un’azienda e fornisce un orientamento concreto per il suo operato. Inoltre, ne descrive le convinzioni, i valori, le aspettative e le norme di comportamento alla base degli orientamenti e degli obiettivi rilevanti per l’organizzazione.

Paragonata a un iceberg da Edward T. Hall nel noto esempio tratto dal suo libro Beyond Culture, la cultura organizzativa è composta da un livello visibile e da un sostrato invisibile. Basta una ricerca, neanche troppo approfondita, per trovare centinaia e centinaia di esempi sulla falsariga di questo modello. In sostanza, essa è il risultato di una componente immediatamente osservabile (la cultura superficiale) e di una componente più interna (la cultura profonda).

Cultura superficiale (10%): politiche, procedure documentate, codice di abbigliamento, espressione del marchio, struttura organizzativa, benefit, tecnologie, organizzazione dell’ufficio ecc.

Cultura profonda (90%): equilibrio tra lavoro e vita privata, risposta al cambiamento, esperienza di assunzione, avversione al rischio, esperienza per le donne e le persone di colore, pregiudizi culturali, comunicazione (formale/informale e terminologia condivisa), livelli di autonomia, feedback e tutta una serie di altre “convenzioni non scritte”

Non è difficile intuire che la cultura superficiale è anche la componente più incline al cambiamento, che nella maggior parte dei casi risulta semplice e non comporta particolari lungaggini. Cambiare la cultura profonda, invece, è tutto un altro paio di maniche. Può trattarsi infatti di un processo arduo e complesso. 

Considerate ad esempio un processo di riorganizzazione in cui la persona interessata, che ha un’esperienza comprovata per un particolare procedimento, passa a un ruolo completamente diverso. Per quanto tempo ancora questa persona si occuperà di questioni relative al suo precedente incarico? Probabilmente, molto più a lungo del tempo di transizione previsto. Le culture sono caratterizzate da una memoria ben radicata e una natura restia al cambiamento; ma in questi casi, è l’angolazione a fare la differenza.

Migliorare la cultura della propria azienda non sarà sicuramente un compito semplice, ma nemmeno impossibile. In questo contesto, scendere a compromessi non è mai un’opzione se si vuole tener fede ai propri obiettivi di sostenibilità.

La cultura della sostenibilità: che cos’è e come si presenta?

All’interno di un’organizzazione, la cultura della sostenibilità corrisponde all’idea che i dipendenti hanno in merito agli obiettivi, ai valori, alle convinzioni e alle aspettative dell’azienda in materia di sostenibilità. Che ne siate coscienti o meno, anche la vostra azienda ne ha una. La sua espressione, che può essere più o meno evidente, dipende da una serie di fattori: dagli atteggiamenti dei dirigenti nei confronti della presenza (o della mancanza) di meccanismi di responsabilità al modo in cui i dipendenti percepiscono il loro ruolo di agenti attivi nel processo di trasformazione.

Una solida cultura della sostenibilità si basa sulla convinzione collettiva che la sostenibilità è un imperativo e i dipendenti adottano comportamenti volti a sostenerla. 

  • L’azienda fa affidamento su una chiara vision di sostenibilità che permea l’intera organizzazione e costituisce fonte di ispirazione nonché motore di tutte le azioni, gli obiettivi, le strategie e i valori che portano a compimento tale visione.
  • La presenza di una vision, una strategia e obiettivi chiari comunica ai dipendenti, indipendentemente dal loro ruolo nell’azienda, che la sostenibilità ricopre un ruolo prioritario al pari del successo finanziario, dell’efficienza operativa, della salute, della sicurezza e di molti altri aspetti essenziali per l’azienda. Ciò significa che non può essere la prima voce di risparmio quando c’è da tirare la cinghia né il primo punto in agenda da depennare per facilitare il raggiungimento di altri obiettivi.
  • In quanto priorità, la sostenibilità è facilmente integrata nel processo decisionale a tutti i livelli ed esercita la sua influenza su tutti gli ambiti aziendali, dalla strategia commerciale ai KPI, fino agli obiettivi di performance dell’intera organizzazione. 
  • Tutti i collaboratori dimostrano una motivazione concreta e comprende appieno il proprio contributo significativo per fare passi avanti all’interno del programma di sostenibilità dell’organizzazione.
  • La sostenibilità rappresenta una componente chiave nei processi di onboarding nonché di learning and development.

Una cultura della sostenibilità debole, al contrario, è percepita come irrilevante e corollaria

  • I senior manager potrebbero negare l’esistenza del cambiamento climatico.
  • Non è presente né una vision né una strategia di sostenibilità. 
  • Il team di sostenibilità potrebbe essere isolato, non ricevere i finanziamenti necessari e risultare generalmente frainteso.
  • Potrebbe essere diffuso un senso generale di mancanza di responsabilità e di capacità tra i vari team, che non affrontano questioni legate alla sostenibilità.
  • I dipendenti non comprendono l’importanza della sostenibilità per l’azienda e, in alcuni casi, potrebbero essere addirittura all’oscuro di un’eventuale strategia di sostenibilità in essere.

Una forte cultura della sostenibilità crea i presupposti per la trasformazione. Le culture più deboli, invece, paralizzano le aziende e le costringono a mantenere lo status quo.

Ma che cosa accade se è invece l’intera cultura aziendale, nel suo stato più elementare, a impedire la promozione di una cultura della sostenibilità robusta e solida? Che succede quando le culture organizzative reagiscono troppo lentamente al cambiamento, anche quando ce ne sarebbe una necessità estremamente impellente? 

Cambiare è possibile, ma in questi casi richiede una profonda introspezione e un’azione globale e rivoluzionaria.

Cultura del cambiamento: la base di ogni trasformazione

Per dirla con le parole del leggendario management consultant Peter Drucker: “La cultura si mangia la strategia a colazione”. Di certo non aveva tutti i torti. Per riuscire a implementare un cambiamento significativo, duraturo e necessario, il fattore di successo più determinante sono proprio le persone.

Molte organizzazioni denotano una forte resistenza al cambiamento, che contrastano solo quando quest’ultimo risulta inevitabile. Per questo motivo molte iniziative all’insegna della sostenibilità, sebbene sostenute da una strategia ambiziosa e fondata su dati scientifici, da strumenti all’avanguardia e da un chiaro piano d’azione, sono destinate a fallire o produrre solo miglioramenti di minore entità. Il mondo del business premia l’affidabilità, i processi e le consuetudini. Un certo livello di cambiamento è accettato (ad es. per conformarsi a nuove normative ambientali o evitare controversie su questioni legate al clima), ma i cambiamenti profondi, quelli audaci e rivoluzionari, risultano estremamente controversi e vengono spesso accolti con una buona dose di scetticismo.

Considerare la sostenibilità da una mera prospettiva di conformità è tutt’altro che ideale. Il fatto è questo: in un ambiente in continua evoluzione, e sempre più imprevedibile; le aziende devono ripensare i loro processi e abbandonare un approccio aziendale statico, con nessuna possibilità di funzionare all’interno di un sistema dinamico, dove il cambiamento rappresenta l’unica certezza.

Creare resilienza per far fronte alla crisi ambientale in atto significa abbracciare il cambiamento.

Quindi, per rendere la sostenibilità parte integrante e componente intrinseca delle attività economiche, le aziende hanno innanzitutto il compito di inglobare una maggiore apertura al cambiamento a livello di cultura organizzativa e strategia commerciale. Inoltre, devono coltivare la loro capacità interna di cambiamento, ad esempio mediante la formazione dei dipendenti.

Stabilire una priorità, senza tuttavia predisporre un ecosistema trasversale a tutte le funzioni aziendali a sostegno di tale priorità, è una misura senza buone prospettive di successo. Se, per esempio, la vostra cultura aziendale si basa sula competizione e il contributo dell’individuo è l’indicatore principale di successo, non aspettatevi che un approccio basato sulla collaborazione possa risultare efficace. Allo stesso modo, se nella gestione delle performance sono unicamente gli obiettivi finanziari a determinare le ricompense, gli obiettivi non finanziari potrebbero non essere presi sul serio o essere visti solo come un risultato di secondaria importanza.

Fare introspezione: un prerequisito essenziale per gestire il cambiamento

Avere un ideale va bene, ma quando si cerca di cambiare una cultura è necessario in prima battuta analizzare e definire con onestà la cultura già esistente. Forse la vostra organizzazione ha caratteristiche culturali che vi concedono già una posizione di vantaggio. Oppure avete bisogno di sradicare alcune abitudini e convinzioni di lunga data? 

Una questione che mette costantemente in crisi i dirigenti è che la percezione della loro cultura e la cultura reale sono spesso in contrasto tra di loro

In alcuni casi, essi ripongono troppa fiducia nelle public relations, mentre in altri casi, invece, sono troppo distanti per avere anche solo un’idea concreta delle attività operative. Questi fattori si manifestano in aziende di tutte le dimensioni. 

Anche se non è semplice, i leader devono fare attenzione e ricordarsi sempre che la loro percezione e le loro convinzioni non sono infallibili. Richiedere l’aiuto di un consulente per svolgere un audit culturale può ovviare a questo problema, sebbene si possano ottenere risultati anche tramite un’attenta riflessione su precedenti tentativi di iniziative interne che non hanno avuto successo. Le cause di fallimento rivelano spesso il vero spirito della cultura aziendale 

Prendiamo ad esempio le politiche di rientro al lavoro in presenza. La pandemia ha incentivato il lavoro a distanza per pura necessità, eppure molte aziende faticano a convincere i propri dipendenti a tornare in ufficio e in alcuni casi ci hanno rinunciato del tutto. Altre, invece, stanno cercando di adottare modelli ibridi. Il CEO potrebbe serbare un ricordo positivo della robusta cultura presenziale, ma i dipendenti presenti già prima del COVID-19 potrebbero vederla in maniera del tutto diversa.  Potrebbero avere vivo in mente il ricordo delle continue interruzioni, oppure di un open space progettato come spazio di co-working pieno di persone che lavorano in silenzio o, al contrario, con persone al telefono con colleghi di altri uffici. 

Tutti questi fattori esemplificano appieno la cultura aziendale reale. Ma allora sorge spontanea la domanda: dove ha sbagliato il CEO? Si trattava solamente di un buon proposito, anche se poco plausibile? Di un’intuizione sbagliata nel vedere l’intero team presente in ufficio? Oppure semplicemente di un’idea che si basava più che altro sugli eventi organizzati dopo il lavoro o su altre attività extralavorative? Tutte queste ipotesi potrebbero essere possibili, ma è importante rendersi conto del percepito delle persone. 

Un bravo leader sa bene che più si scalano i vertici dell’azienda, maggiore sarà la distanza con le realtà quotidiane dell’organizzazione e, di conseguenza, la necessità di una maggiore programmazione.

Anche se parte dall’alto, non può essere imposto

Quando le cose si mettono male, mettete in discussione l’importanza del risultato? Se, in quanto leader, la vostra risposta non lascia alcuno spazio a riflessioni, forse è il caso di fare un esame di coscienza per capire perché non siete poi così convinti. 

È importante rimanere con i piedi per terra: anche voi siete esseri umani e la paura può rappresentare un potente ostacolo che previene dall’impegnarsi davvero a cambiare. Ricordatevi sempre che quello che per voi non costituisce una priorità, non lo sarà neanche per il resto dell’organizzazione. 

E questo vale spesso per le questioni in materia di sostenibilità ambientale. Di base, le aziende hanno obiettivi di crescita e proprio questa caratteristica può risultare l’ostacolo principale al raggiungimento di pratiche aziendali più sostenibili. E così funziona anche per i compensi dei dirigenti, spesso perfino per tutte le tipologie di riconoscimento delle performance a livello aziendale. 

Anche se gli obiettivi non finanziari non sono determinanti sulla vostra busta paga, comportatevi come se il fallimento non fosse comunque un’opzione (e francamente, non lo è) e diffondete tale convinzione su ampia scala. 

Non possono esserci dubbi sul fatto che tali questioni siano di estrema rilevanza per il CEO e per i vertici, e questo a tutti i livelli dell’organizzazione. La passione, infatti, può essere contagiosa. Negli ultimi 50 anni questo aspetto è stato fondamentale per costruire le culture delle startup tecnologiche di maggior successo.  

Potremmo dibattere sulla complessità di questo processo, ma una cosa è certa: il cambiamento culturale va ben oltre l’intento di un leader. L’intera organizzazione deve agire di concerto. 

Il punto di partenza più logico è diffondere gli obiettivi a cascata. Dopodiché è fondamentale sviluppare una comprensione collettiva dell’obiettivo e della sua importanza, creando un modello in cui i dipendenti di tutti i livelli e funzioni possano dare il loro contributo. 

Quando la sostenibilità pervade tutti gli angoli dell’organizzazione, le persone sapranno che fate sul serio. 

Democratizzare il cambiamento

Come avviene per qualsiasi altra iniziativa, dalla DEI (diversity, equity & inclusion) agli standard professionali, sviluppare e istituire una formazione adeguata sui temi della sostenibilità ambientale è fondamentale. Infatti, non possiamo pretendere che le persone adottino nuovi modelli di comportamento senza comprenderne il contesto o il risultato auspicato. 

I dipendenti devono capire che cos’è la sostenibilità e in che modo si traduce concretamente per il loro ruolo specifico. La formazione consente loro di identificare tutte le misure possibile e i fattori che al contrario potrebbero rappresentare un ostacolo. 

Partite da un presupposto: la vostra organizzazione è “geneticamente” programmata per mantenere a tutti i costi lo status quo. Senza una scossa dall’esterno, rivalutare pratiche funzionanti e ben consolidate comporta sempre una buona dose di riluttanza. Tenete inoltre sempre a mente che le persone hanno spesso un’idea poco flessibile di cosa significhi avere successo nel loro ruolo. Per un responsabile degli acquisti che, nel corso dell’intero mandato, ha sempre cercato modi per risparmiare, abbracciare le pratiche di approvvigionamento sostenibile non sarà di certo una passeggiata. Il management intermedio deve avere a disposizione un margine di manovra più ampio. 

Analogamente, a livello gestionale è necessario adottare un approccio realistico. Non sarà infatti mai possibile implementare appieno iniziative di approvvigionamento sostenibile se il budget per gli acquisti non ha alcun tipo di margine per affrontarne i costi più elevati. Considerate queste questioni come sfide imprenditoriali da risolvere piuttosto che come beghe aziendali su cui incaponirsi. 

Per tutti i livelli dell’organizzazione è indispensabile un meccanismo finalizzato ad ascoltare e accogliere le preoccupazioni. Sebbene possa trattarsi di un comportamento di natura culturale, le spinte alla base hanno comunque un carattere sistemico. Per supportare il cambiamento c’è infatti bisogno di grande sinergia tra tutti gli ambiti: finanze, competenze, garanzie, sistemi, politiche e procedure devono infatti collaborare con questo obiettivo comune. 

Per concludere, i dipendenti devono abbracciare il loro ruolo proattivo e percepirlo come qualcosa di positivo, comprendendo tutti gli standard di riferimento sia a livello aziendale che, ove possibile, a livello funzionale. Inoltre, il cambiamento va coltivato con tante relazioni e con i riconoscimenti pubblici di tutte le iniziative di successo. 

La cultura aziendale è composta da tante sfaccettature diverse, e questo vale anche per tutte le fasi necessarie per poterla rendere una cultura che abbracci il cambiamento (anziché la sua sentenza di morte).

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