Ridurre le emissioni di questo gas serra spesso trascurato potrebbe avere un impatto significativo nel contrastare i cambiamenti climatici nel breve termine.
In sintesi:
- Il metano è un importante responsabile dell’aumento delle temperature globali e proviene da una varietà di fonti, dal gas naturale alle risaie.
- Poiché le emissioni di gas serra (GHG) sono spesso riportate facendo riferimento all’anidride carbonica, l’entità dell’impatto del metano è stata in gran parte trascurata.
- Il metano è un gas serra potente, ma ha vita breve; affrontare ora le emissioni di metano può contribuire a invertire la tendenza dell’aumento delle temperature globali e aiutare a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
- Poiché il 60% del metano in atmosfera proviene da attività umane come l’agricoltura e le perdite energetiche, esistono soluzioni comprovate per mitigare le emissioni.
Sebbene l’anidride carbonica (CO2) domini le prime pagine delle notizie sull’emergenza climatica, un altro gas ancora più pericoloso, il metano (CH4), è in parte responsabile dell’attuale andare verso un punto di non ritorno.
In termini di potenziale di riscaldamento globale (GWP), il metano ha un impatto enorme. E ciò che preoccupa è che stiamo emettendo questo gas a un ritmo più rapido rispetto a qualsiasi altro periodo dagli anni ’80.
C’è però una nota positiva. Essendo un inquinante climatico di breve durata, gli effetti del metano si manifestano nel corso della sua vita atmosferica di 10-12 anni (a differenza delle centinaia di anni dell’anidride carbonica). Il metano viene costantemente distrutto attraverso processi naturali, come le reazioni di ossidazione chimica, quindi riducendo ora il metano prodotto dall’uomo, l’atmosfera ne trarrebbe beneficio relativamente presto. Affrontando le fonti di metano per ridurre le emissioni, le aziende possono anche raggiungere risultati migliori nel breve termine, contribuendo al raggiungimento dell’obiettivo di 1,5°C stabilito dall’Accordo di Parigi.
Comprendere il vero impatto del metano
Le tattiche per la riduzione del metano sono state sfruttate poco, lasciando inesplorato un potenziale di riduzione significativo. Questo, in parte, è dovuto all’attenzione globale focalizzata sul carbonio, che rischia di creare una sorta di “punto cieco” sul metano, facendo sì che molti leader aziendali non comprendano appieno la minaccia rappresentata da questo potente gas ad effetto serra (GHG).
Tutto ciò non significa che il problema crescente del metano non stia ricevendo almeno un po’ di attenzione. Vale la pena menzionare iniziative come il Global Methane Pledge, lanciato da Stati Uniti e Unione Europea alla fine del 2021. C’è un chiaro e crescente impegno per affrontare il problema, ma c’è ancora molto da fare, e con urgenza.
L’impatto climatico dei gas serra viene comunemente determinato col metodo Global Warming Potential (GWP). Il GWP100 è l’indicatore più comunemente applicato, che quantifica gli impatti in un intervallo di 100 anni. La menzionata mancanza di attenzione al metano è in parte dovuta alla scelta dell’arco temporale di 100 anni dell’indicatore GWP100, adottato anche nei framework SBT. L’indicatore GWP100 usa questo periodo di 100 anni come compromesso fra il breve termine (es. 20 anni, più adeguato a rappresentare il potere di riscaldamento atmosferico per il metano) ed il lungo termine (es. 500 anni, più adeguato a rappresentare il potere di riscaldamento atmosferico per la CO2).
Tuttavia, esiste una gamma di indicatori che possono essere usati per rappresentare l’impatto dei gas serra sui cambiamenti climatici, quali ad esempio il potenziale di cambiamento di temperatura (GTP) o il più recente GWP*. E’ importante ricordare che, come sovente accade in sostenibilità, non esiste una soluzione perfetta, valida sempre ed in ogni analisi. Al contrario, nella pratica quotidiana, i metodi scientifici più recenti e i dati e tecnologie nuovi devono essere rielaborate e valutate attraverso l’esperienza di chi ogni giorno si occupa di framework di sostenibilità. Bisogna ricordare anche che i modelli matematici non sono mai neutri rispetto a scelte di valore, necessarie per ponderare gli effetti diversi (a lungo vs. a breve termine) dei gas serra in gioco (CO2, CH4 e N2O). Dall’altra parte, i diversi indicatori esistenti rappresentano effetti diversi sul clima: ad esempio, gli aumenti di temperatura, rappresentati meglio da GTP, sono collegati agli eventi estremi (alluvioni, onde di caldo, ecc.) che iniziamo a testimoniare e che saranno più rilevanti nelle prime fasi di transizione verso la nuova era geologico-climatica che stiamo vivendo: l’antropocene. L’indicatore GWP, che rappresenta la quantità di calore addizionale intrappolata nell’atmosfera, è più adatto a rappresentare gli impatti a lungo termine come lo scioglimento dei ghiacciai, del ghiaccio nelle calotte polari o l’innalzamento dei mari.
Purtroppo non esiste una singola forma di matrice scientifica, oggettiva e univoca, capace di ponderare tutti questi effetti in un singolo indicatore. La soluzione migliore sarebbe quella di calcolare e monitorare i diversi indicatori climatici quali GTP o GWP20, GWP500 e GWP* in aggiunta al GWP100 a cui siamo abituati. Il rischio di questo eccesso di complessità risiederebbe nella capacità diminuita dei decisori per gestire in maniera efficace la problematica, e la pletora di moltiplicatori tradursi in confusione e, dunque, nell’inazione.
Invece è molto utile creare consapevolezza sulla problematica e sull’urgenza di affrontare gli impatti legati alle emissioni (e le possibili riduzioni) del metano, in modo da affrettare il raggiungimento degli obiettivi climatici di Paesi e aziende in linea con l’Accordo di Parigi.
In sintesi: utilizzando l’indicatore attuale comune GWP100, le riduzioni di metano contano quasi 30 volte le riduzioni di anidride carbonica. Alcuni scienziati hanno proposto di riprendere il già menzionato GTP per valorizzare meglio le riduzioni di metano, oppure di rendicontare tramite il recentissimo GWP* per incentivare il mettere un freno a questo gas. Come anticipato, scelte di sistema possono portare a conseguenze indesiderate, quali giustificare il mantenimento degli attuali livelli di metano atmosferico o penalizzare le nuove fonti di metano nel Sud del mondo rispetto agli emettitori esistenti in Occidente. È ancora una volta chiave ricordare il rischio costante del burden-shifting, e improntare le scelte di rendicontazione nella direzione della trasformazione sostenibile, nel rispetto di tutti i limiti planetari.
Questo articolo nasce a partire dal contributo redatto in inglese dai colleghi Ancelin Coulon, Beatrix Scolari e Hamed Majidzadeh disponibile qui.
Bloccare il flusso di metano alla fonte
Circa il 40% del metano mondiale è prodotto naturalmente, soprattutto dalle zone umide, e in minor modo dagli animali selvatici o da eventi come gli incendi boschivi. Il riscaldamento globale probabilmente peggiorerà la situazione, con un rilascio maggiore di metano nell’atmosfera dovuto allo scioglimento del permafrost artico.
Il restante 60% è il risultato di attività umane, tra cui l’allevamento di bestiame (32%), la produzione di risaie (8%), le discariche (20%) e le perdite delle infrastrutture di petrolio e gas (35%).
È necessario diventare più consapevoli del metano e guidare la riduzione delle sue emissioni lungo tutta la catena del valore. Per le aziende per cui il metano potrebbe essere un gas serra critico (vedasi le principali fonti di cui sopra), un buon primo passo è differenziare i gas all’interno della propria impronta per identificare i principali punti critici del metano. Questi dati sono solitamente inclusi nella contabilità tradizionale dei gas serra che converte tutte le emissioni in equivalenti di anidride carbonica.
Monitorare separatamente le emissioni di metano consentirà alle aziende di sviluppare strategie di riduzione su misura per le proprie operazioni e catena di fornitura.
Prima di tutto, fermare le perdite
Nella produzione di petrolio e gas, la quantità di metano rilasciata a causa delle perdite è impressionante. Definite come “emissioni fuggitive”, le perdite di gas dai pozzi e dai gasdotti sono diffuse e pervasive. Kayrros, società attiva nel monitoraggio, ha mostrato che una singola perdita da una struttura petrolifera e del gas in Turkmenistan ha raggiunto un picco di 333 tonnellate all’ora lo scorso agosto.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia ha stimato che globalmente si potrebbe ridurre del 75% il metano in circolazione semplicemente utilizzando tecnologie esistenti, con costi aggiuntivi minimi. L’Agenzia sta anche incoraggiando il settore a catturare il gas e venderlo come fonte di energia. In molti settori industriali, il metano è considerato un sottoprodotto. Nell’industria mineraria, ad esempio, viene ventilato per evitare potenziali accumuli esplosivi, mentre nell’industria petrolifera, in maniera decisamente controversa, il gas viene semplicemente bruciato o sfiammato.
Esiste un ampio sostegno per il cambiamento. Oltre 150 paesi hanno firmato il Global Methane Pledge, impegnandosi a ridurre le emissioni del 30% entro il 2030, mentre gli Stati Uniti stanno introducendo nuove regole che richiedono alle aziende di combustibili fossili di monitorare e riparare le perdite.
Ridurre le emissioni di metano dall’agricoltura
L’agricoltura animale è la principale fonte di emissioni di metano di origine antropica, a causa della grande quantità di metano prodotta dagli animali ruminanti, come mucche e pecore. I ruminanti producono metano durante il loro processo digestivo, chiamato “fermentazione enterica”, e attraverso il letame. Questo mette le aziende che forniscono latticini e carne bovina in una posizione unica per avere un impatto significativo sulle emissioni globali, affrontando il metano nelle loro catene di approvvigionamento.
Alla COP28 dello scorso dicembre, sei delle maggiori aziende lattiero-casearie del mondo si sono unite per formare la Dairy Methane Action Alliance, impegnandosi a riportare le loro emissioni di metano e a sviluppare piani di mitigazione. L’Alleanza fornisce alle aziende membri supporto tecnico per la contabilità e la divulgazione, oltre a dare accesso alla ricerca e alle soluzioni emergenti.
Fortunatamente, esistono soluzioni per ridurre il metano prodotto dal bestiame, a parità di volume totale degli animali allevati. Sono disponibili diverse pratiche comprovate di gestione del letame che riducono le emissioni di metano, e molti paesi offrono sussidi governativi per supportarne l’implementazione. Inoltre, ci sono rapide innovazioni nel mercato degli additivi per mangimi, che promettono di mitigare il metano enterico, e farmaci che controllano i microrganismi che producono metano nel sistema digestivo delle mucche. Questa ultima opzione però è controversa perché da un lato costosa (rappresenterebbe un nuovo costo fisso non trascurabile, pertanto non sarebbe una soluzione accessbile per i piccoli allevatori), e dall’altro ha potenziali impatti a valle, sia sul sistema digestivo dei ruminanti che sulla produttività e letame prodotto.
Anche la produzione di riso è un importante emettitore di metano, e secondo l’IPCC è responsabile di circa il 10% di tutte le emissioni antropogeniche. Tuttavia, esistono alternative all’agricoltura tradizionale delle risaie che possono ridurre tali emissioni fino al 70%.
Invece dell’allagamento continuo, che produce batteri emettitori di metano (causando emissioni dalla decomposizione anaerobica della materia organica), il Sistema di Intensificazione del Riso (SRI) prevede periodi alternati di irrigazione e asciugatura, con le risaie drenate due o tre volte durante la stagione di crescita. Questo sistema utilizza anche meno acqua e ha dimostrato di produrre rese più elevate. I metodi di coltivazione del riso in terreni secchi fanno un passo ulteriore, con colture che si affidano alla pioggia senza irrigazione artificiale, riducendo enormemente le emissioni di metano.
Le aziende possono sostenere i propri partner fornitori in questo percorso offrendo risorse e formazione per promuovere l’adozione di pratiche per la mitigazione del metano. Collegando i punti critici del metano a soluzioni pratiche, le aziende del settore food possono aiutare a diffondere pratiche agricole più sostenibili.
Niente più sprechi di metano
I sistemi di gestione dei rifiuti rilasciano anche una quantità significativa di metano attraverso la decomposizione della materia organica in contesti gestiti in modo inefficiente. Lo scorso aprile, una discarica in Bangladesh ha rilasciato più di 822 tonnellate di metano all’ora.
Con il mondo che va nella direzione del produrre 3,40 miliardi di tonnellate di rifiuti all’anno entro il 2050 (WorldBank) — circa 1,7 volte il tasso attuale — le emissioni di metano dalla gestione dei rifiuti dovrebbero essere una preoccupazione notevole.
Lo spreco alimentare è un ambito concreto in cui tutte le aziende possono fare la differenza, deviando i rifiuti organici dalle discariche. Attraverso il riciclo o il compostaggio degli scarti alimentari, possiamo prevenire che i rifiuti organici vengano inviati in discarica dove si decompongono e producono metano. È necessaria una collaborazione tra settore privato e pubblico per implementare la raccolta e il compostaggio dei rifiuti alimentari su scala sufficiente a eliminare le emissioni di metano derivanti dai rifiuti.
Il metano come biocarburante
Un modo per mitigare le emissioni di metano è sfruttare il gas come biocarburante. Le tecnologie di cattura del metano sono state sviluppate per molti settori e applicazioni.
Ad esempio, molte aziende lattiero-casearie stanno implementando digestori anaerobici come tecnologia efficace per mitigare il metano nelle aziende agricole. I digestori catturano il metano dai bacini di letame e lo utilizzano per generare elettricità o gas naturale rinnovabile. Questi sistemi non solo riducono l’impatto climatico degli allevamenti, ma creano anche una nuova fonte di reddito per gli agricoltori.
I biocarburanti derivati dalla digestione anaerobica producono ancora alcune emissioni, ma significativamente meno rispetto a un’azienda agricola che utilizza elettricità generata da carbone o generatori a diesel. In assenza di una soluzione universale, è importante non essere dogmatici: la cattura del metano può far parte di una strategia di decarbonizzazione efficace, a patto che non venga utilizzata per perpetuare l’infrastruttura dei combustibili fossili o a scapito delle energie rinnovabili.
Le azioni che intraprenderemo sul metano da qui al 2030 potrebbero essere il contributo più importante per invertire la tendenza del riscaldamento globale nel breve termine. Ridurre le emissioni di metano è il modo più efficace per avere un impatto immediato sul riscaldamento globale.
Secondo le Nazioni Unite, il metano prodotto dall’uomo potrebbe essere ridotto fino al 45% nel prossimo decennio, il che potrebbe evitare quasi 0,3°C di riscaldamento globale entro il 2045.
Poiché le possibilità di rimanere entro il limite di 1,5°C diventano sempre più scarse, ridurre il metano nel breve termine potrebbe essere la nostra migliore opportunità per evitare un punto di non ritorno climatico.
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