Con le migliaia di ingredienti contenuti nelle formule degli odierni cosmetici e l’importanza primaria del packaging nella presentazione, i team di R&D e di design del prodotto devono scegliere con grande cautela le materie prime da utilizzare.
Con le migliaia di ingredienti contenuti nelle formule degli odierni cosmetici e l’importanza primaria del packaging nella presentazione, i team di ricerca e sviluppo e di design del prodotto devono scegliere con grande cautela le materie prime da utilizzare. I consumatori prestano sempre più attenzione alle etichette degli ingredienti, ed i team di ricerca e sviluppo intendono dare la priorità a materiali sostenibili. Inoltre, le disposizioni normative sulla sostenibilità dei prodotti si stanno intensificando, gli investitori passano al vaglio le informative di carattere non finanziario e i rivenditori, retail come Sephora, introducono le proprie linee guida in materia per i brand.
In tutta risposta, molti marchi di cosmetici e di prodotti per la cura della persona sono alla ricerca di soluzioni innovative. Tuttavia, si ritrovano spesso a focalizzare l’attenzione su una serie limitata di obiettivi (ad esempio specifiche tendenze di consumo come la bellezza naturale) o sul raggiungimento degli obiettivi comunicati relativi alla riduzione delle emissioni di carbonio o dell’utilizzo di materiali plastici. E questo comporta il rischio di un impact shifting non intenzionale.
Impact shifting: una sfida importante per l’industria cosmetica
Per i brand che operano nel settore della bellezza, i rischi di uno spostamento dell’impatto sono particolarmente rilevanti nella diffusa tendenza che punta a materie prime provenienti da fonti naturali. La domanda di materie prime di origine biologica è aumentata poiché i consumatori ritengono che gli ingredienti naturali siano meno dannosi dal punto di vista chimico o maggiormente eco-compatibili. Anche altre priorità comuni nell’ambito di una gestione responsabile dell’ambiente, come la decarbonizzazione e la riduzione dell’inquinamento causato dalla plastica, stanno determinando un rinnovato orientamento verso materie prime naturali, sia per gli ingredienti che per i materiali di imballaggio. Si possono citare come esempi il boom di popolarità degli oli essenziali vegetali, la domanda di bioetanolo derivato dalla canna da zucchero, la sostituzione dei siliconi a elevato contenuto di carbonio con esteri di origine biologica, il passaggio dalla plastica alle fibre per i materiali da imballaggio e l’introduzione della cellulosa in sostituzione delle microplastiche.
Anche i materiali a base biologica, tuttavia, possono avere impatti significativi sull’utilizzo del suolo e sulla biodiversità. Un esempio tanto preoccupante quanto ormai familiare è quello della coltivazione dell’olio di palma, che ha finito per causare il 7% della deforestazione globale tra il 2000 e il 2018. Per alcuni ingredienti, come gli oli essenziali, l’aumento della domanda ha comportato anche un’industrializzazione della produzione. Gli oli essenziali richiedono notevoli quantità di materie prime per rese ridotte. Basti pensare che occorrono 50 petali per ottenere una singola goccia di olio di rose. L’industrializzazione della produzione, necessaria a soddisfare la crescente domanda, può causare inoltre un utilizzo più intensivo di fertilizzanti e pesticidi. Pertanto, ogni variazione nei materiali determina spostamenti di impatti non intenzionali da un sistema a un altro, ad esempio con la riduzione delle emissioni di carbonio in parallelo a un aumento del consumo idrico oppure con l’eliminazione dell’inquinamento causato dalla plastica, ma a scapito di un incremento della deforestazione.
Lo spostamento dell’impatto si verifica anche con le migliori intenzioni di trasformazione sostenibile. Le aziende nel settore della cosmetica e dell’igiene personale devono essere consapevoli dei rischi e prendere decisioni ponderate.
Se si vuole evitare l’impact shifting, occorre incentrare l’innovazione non più su un numero ristretto di obiettivi, bensì adottare approccio più olistico finalizzato alla creazione di nuovi prodotti eco-compatibili e che miri a limitare conseguenze più generali sull’ambiente. Le aziende capaci di identificare e mitigare i rischi di spostamento dell’impatto sapranno scegliere materiali e processi adeguati alle sfide future e potranno accelerare il proprio percorso verso la riduzione dell’impatto. Questa trasformazione richiede tre passi importanti:
1. Comprendere gli effetti complessivi delle materie prime e identificare i rischi di spostamento dell’impatto
Per prendere decisioni ponderate sull’innovazione dei materiali, i brand devono anzitutto effettuare una valutazione del ciclo di vita (LCA) per analizzare i molteplici impatti durante l’intero ciclo di vita del prodotto. Una risorsa disponibile è la metodologia europea per la valutazione dell’impronta ambientale dei prodotti (PEF), che comprende 16 indicatori con cui misurare gli impatti su emergenza climatica, ecosistemi, salute umana, uso delle risorse e consumo idrico. In collaborazione con Quantis, L’Oréal ha sviluppato il Sustainable Product Optimization Tool (SPOT), un innovativo strumento di eco-progettazione per valutare le performance ambientali del brand nel tempo.
2. Consentire l’utilizzo dei dati sull’impatto da parte dei team di ricerca e sviluppo
La semplice misurazione dell’impatto non è sufficiente a guidare un’innovazione rispettosa delle risorse. È necessario che le aziende permettano ai propri team di utilizzare i dati sull’impatto per orientare le scelte di progettazione dei prodotti e a tal fine dovrebbero:
Ripensare i processi di sviluppo del prodotto in modo da includere le informazioni sull’impatto ambientale fin dalle prime fasi di progettazione. Oggi, i dati sull’impatto disponibili sono spesso visibili solo ai team che si occupano di sostenibilità, escludendo i team di ricerca e sviluppo. Le considerazioni ambientali vengono incluse tardivamente nel processo di sviluppo del prodotto, se non addirittura ignorate.
Integrare gli aspetti ambientali nelle strutture di governance, affiancandoli ad altre considerazioni di carattere economico, come la redditività e l’efficacia. L’adozione di regole e strutture chiare contribuisce a semplificare il processo decisionale nelle fasi cruciali dello sviluppo. Ad esempio, i brand possono scegliere di approvare solo prodotti con un impatto complessivo inferiore rispetto ai predecessori o che presentano determinate caratteristiche di responsabilità ambientale.
Aggiornare le competenze del personale di ricerca e sviluppo e di altri team in materia di sostenibilità e valutazione del ciclo di vita dei prodotti, per aiutarlo a comprendere i dati, sviluppare una mentalità di eco-progettazione e mediare tra potenziali compromessi in termini di impatto.
3. Collaborare con la catena del valore
I team di approvvigionamento svolgono un ruolo determinante nell’integrazione dei materiali più sostenibili allo scopo di ridurre i rischi di spostamento dell’impatto. Ma l’allineamento sugli obiettivi richiede soprattutto un confronto interno tra i team di approvvigionamento, ricerca e sviluppo e sostenibilità. Per mitigare l’impact shifting lungo la catena del valore, le aziende possono utilizzare le seguenti leve:
Adottare le migliori prassi in materia di approvvigionamento sostenibile per i materiali ad alto rischio, sia affidandosi a certificazioni riconosciute come la Roundtable for Sustainable Palm Oil (RSPO) o il Forest Stewardship Council (FSC), sia monitorando e coadiuvando i fornitori sulle politiche di approvvigionamento sostenibile. Il lavoro con i fornitori può avere l’ulteriore vantaggio di garantirsi l’approvvigionamento di alcuni materiali sostenibili limitati nel breve termine.
Diffondere e sostenere pratiche di agroecologia, come l’agricoltura rigenerativa, all’interno delle proprie catene del valore. L’implementazione di questi metodi su larga scala consente alle aziende di andare oltre la semplice riduzione dell’impatto, intervenendo con un’azione positiva sulla natura.
Favorire l’innovazione costante dei materiali collaborando con i fornitori (comprese le startup) allo sviluppo e all’attenta selezione di alternative alle materie prime naturali, come alghe o rifiuti agricoli. Alcuni brand di profumi hanno sperimentato l’etanolo derivante dalla cattura del carbonio, che riduce l’uso del suolo ed elimina quasi completamente il consumo idrico, mentre le aziende che intendono sostituire i siliconi possono prendere in considerazione gli esteri di origine biologica ricavati dai rifiuti.
Un approccio olistico all’innovazione
Le normative a livello nazionale e comunitario, gli standard in materia di comunicazione e reporting e il dibattito pubblico stanno evolvendo verso una visione più globale della sostenibilità. Secondo uno studio di Boston Consulting Group, il 71% dei consumatori di prodotti per la cura della pelle nutre preoccupazioni sul tema della sostenibilità. In Europa e negli Stati Uniti, la legislazione di recente o imminente approvazione relativa ai prodotti di bellezza affronta tematiche come la deforestazione, la riduzione dell’inquinamento causato dalla plastica e la regolamentazione degli ingredienti ritenuti dannosi per l’ambiente. Al tempo stesso, la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) dell’UE sta cambiando i requisiti, includendo non solo la crisi climatica ma anche le informative sull’impatto e sulla dipendenza delle aziende dalla Natura.
Per sviluppare prodotti e modelli di business adeguati alle esigenze future ed evitare lo spostamento dell’impatto, i brand del settore bellezza devono adottare una visione olistica e considerare molteplici impatti ambientali nella progettazione dei propri prodotti. Questo consentirà ai team di ricerca e sviluppo di produrre cosmetici più sostenibili e far progredire l’intero comparto.
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