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l cambiamento climatico non è più una minaccia distante, ma una realtà che richiede azioni immediate. Per aziende e società, riconoscere i rischi climatici e ambientali è essenziale per garantire resilienza e trasformare sfide in opportunità di crescita sostenibile. Ecco come gestire i rischi climatici e cogliere i vantaggi della transizione.
In sintesi:
- Il rischio climatico rappresenta una delle principali sfide per le aziende, le società e gli individui nel 21° secolo. La definizione comprende non solo gli impatti ambientali, ma anche quelli economici, normativi e reputazionali.
- Rischi fisici: impatti diretti del cambiamento climatico
- Rischi di transizione: sfide della decarbonizzazione
- I framework internazionali guidano le aziende nell’identificazione, valutazione e mitigazione dei rischi climatici
- La transizione climatica non è solo una sfida, ma anche un’opportunità. Investire in decarbonizzazione, nuovi prodotti sostenibili e mercati emergenti può generare rendimenti superiori ai costi e garantire la resilienza del business.
Cosa intendiamo per rischio?
Ci fa piacere approfondire in primis una definizione condivisa di rischio, quale “pericolo X esposizione X vulnerabilità”.
- Pericolo climatico: possibile futura manifestazione di un fenomeno naturale o antropico con il potenziale di causare danni su beni / attività esposti e vulnerabili.
- Esposizione: l’ammontare delle risorse umane ed economiche che sono potenzialmente soggette al pericolo climatico
- Vulnerabilità: la predisposizione dei beni / attività esposte a subire effetti negativi a seguito del manifestarsi del pericolo climatico
Un rischio differisce da un pericolo in relazione alla probabilità del suo concretizzarsi, quindi al provocare danno. Teniamo a mente anche le categorie dell’esposizione e della vulnerabilità, e affrontiamo così equipaggiati il tema del rischio climatico e ambientale, di enorme attualità e sotto i riflettori anche della normativa – si pensi alla Tassonomia UE e alla CSRD.
Che cos’è il rischio climatico e perché è fondamentale affrontarlo?
Cosa intendiamo per misura del rischio climatico?
Prendiamo ad esempio la stima dell’agenzia EU per l’ambiente di ottobre 2024, che quantificava: “Gli eventi estremi legati al meteo e al clima hanno causato perdite economiche di asset stimate in 738 miliardi di euro nel periodo 1980-2023 nell’Unione Europea, con oltre 162 miliardi di euro (22%) tra il 2021 e il 2023. Analizzare le tendenze delle perdite economiche è difficile, principalmente a causa della grande variabilità annuale. Le analisi statistiche hanno rivelato che le perdite economiche aumentano nel tempo e gli ultimi tre anni rientrano tutti nei primi cinque anni di perdite economiche annuali più elevate. Poiché si prevede che gli eventi estremi gravi legati al meteo e al clima si intensificheranno ulteriormente, sembra improbabile che le perdite economiche associate si ridurranno entro il 2030”.
Si tratta di un rischio che si traduce quindi direttamente in impatto per i business, e per le persone. L’ultima edizione (2025) del WEF Global Risk Report definisce i rischi ambientali come divenuti “da preoccupazione a lungo termine a realtà urgente”. “I rischi ambientali dominano l’orizzonte di lungo periodo, con eventi meteorologici estremi, scomparsa della biodiversità e collasso degli ecosistemi, cambiamenti critici dei sistemi terrestri e scarsità di risorse naturali in cima alla classifica dei maggiori rischi per i prossimi dieci anni. Il quinto rischio ambientale per rilevanza è l’inquinamento, percepito come minaccia significativa anche nel breve termine. Il sesto posto nel ranking di breve periodo riflette la consapevolezza crescenti dei gravi impatti sulla salute e sull’ecosistema di un’ampia gamma di inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Nel complesso, gli eventi meteorologici estremi sono stati identificati sia come rischi immediati, sia nel breve e nel lungo periodo”.
Si tratta di allarmi lanciati sia dai rispondenti del settore privato che dall’intera platea (C-suite, business e opinion leader su scala globale) dei rispondenti.
Come si classificano i rischi legati al cambiamento climatico?
Classificazione dei rischi climatici: fisici e di transizione
I rischi legati alla crisi climatica si classificano in rischi fisici e di transizione.
Cosa sono i rischi fisici?
I rischi fisici derivanti direttamente dagli effetti del cambiamento climatico possono influire sulle performance finanziare delle organizzazioni causando danni diretti ai beni aziendali, interruzioni della catena di approvvigionamento, indisponibilità di acqua e risorse, impatti sui trasporti e la sicurezza dei lavoratori.
Per le aziende impreparate, i soli rischi fisici individuali potrebbero mettere a rischio dal 5% al 25% del loro EBITDA del 2050, a seconda del settore e della zona geografica, con i settori ad alta intensità infrastrutturale maggiormente esposti (fonte WEF, in partnership with BCG, The cost of inaction, 2024).
La manifestazione del rischio fisico può essere classificata in due categorie principali:
- Rischi acuti: Eventi climatici estremi come uragani, inondazioni, ondate di calore e incendi boschivi. Si tratta di fenomeni in grado di causare danni immediati e significativi a infrastrutture, ecosistemi e comunità.
- Rischi cronici: Cambiamenti climatici graduali, come l’innalzamento del livello del mare, l’aumento delle temperature medie e la desertificazione, sviluppandosi nel tempo, hanno un impatto cumulativo e possono compromettere la qualità della vita umana e degli ecosistemi in vaste aree geografiche.
Abbiamo menzionato tempeste, alluvioni, siccità, scarsità, variazioni dei cicli dell’acqua, ondate di calore. Tutti fenomeni che purtroppo possiamo osservare nella limitata esperienza quotidiana ma di cui, ci avvertono gli scienziati, siamo certi su scala globale e che riverberano in particolar modo in punti “hotspot” della crisi, come il Mediterraneo dove si concretizza il rischio eventi estremi legati alla violazione di tipping point globali.
Si tratta di uno scenario coerente con il framework dei Planetary Boundaries: al superamento, inedito nella storia del pianeta, di limiti del sistema, corrisponde l’ingresso in una dimensione di instabilità inesplorata.
Ampliare lo sguardo dal rischio climatico al rischio ambientale significa, ancora una volta, prendere in considerazione tutti i limiti planetari, ovvero che tutti i sistemi della terra, (atmosfera, biosfera, criosfera, geosfera e idrosfera) sono intrecciati a livello profondo mediante nessi meccanicistici e anelli di retroazione; ciò che influisce su un sistema, può influire anche sull’altro. La crisi climatica può alterare la biodiversità, il ciclo dell’acqua, e viceversa vale ad esempio per l’inquinamento. Come già rilevato, il superamento di tipping points o punti di non ritorno ambientali, si traduce in cambiamenti improvvisi, imprevedibili e irreversibili.
Come argomentare a chi ancora fosse invece scettico circa la relazione causa-effetto? Risponde la scienza dell’attribuzione. Nella sintesi di Andrew Desler: “Il cambiamento climatico non “causa” eventi estremi, ma può amplificarli. È certo che il cambiamento climatico influenza ogni evento meteorologico alterando le condizioni di base in cui si verificano”.
Cosa sono i rischi di transizione?
Con l’espressione rischi di transizione si fa riferimento ai cambiamenti che derivano dalla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Una transizione necessaria per indirizzare il cambiamento climatico, ma che comporta sfide significative, quali:
- Rischi legali e politici: Le azioni politiche sul cambiamento climatico si stanno evolvendo, con l’introduzione di nuove normative legate alla protezione dell’ambiente che ad esempio includono l’introduzione di meccanismi di pricing del carbonio, l’adozione di energia rinnovabili o soluzioni per l’efficienza energetica. Il rischio finanziario legato a queste politiche dipende dalla loro natura e tempistica. Un altro rischio crescente è il contenzioso legale, con cause in aumento riguardo al fallimento delle organizzazioni a mitigare impatti del cambiamento climatico.
- Rischio reputazionale: La percezione pubblica o degli stakeholders riguardo all’impegno nei confronti dell’ambiente e alle azioni relative al cambiamento climatico di un’organizzazione, se compromessa, può portare a impatti finanziari derivanti dalla perdita di fiducia da parte dei consumatori e degli investitori con conseguente effetto negativo sulle vendite e accesso al capitale.
- Rischi tecnologici: L’adozione di tecnologie innovative per ridurre le emissioni può richiedere investimenti significativi e potenzialmente alterare i modelli di business esistenti creando vincitori e vinti. Il timing nell’introduzione di queste tecnologie è un elemento cruciale per valutare l’impatto finanziario di tali rischi.
- Rischi di mercato: Il cambiamento climatico può potenzialmente impattare sui modelli di offerta e domanda di materie prime, prodotti e servizi. Questi cambiamenti, come ad esempio le preferenze dei consumatori verso prodotti e servizi più sostenibili, possono influenzare gli attuali modelli di business con impatti finanziari diretti per le organizzazioni.
Impatto economico e normativo dei rischi climatici
Per tornare all’esperienza del business, come è stata affrontata la dimensione del rischio climatico sinora? In primis, la consapevolezza è ormai ampiamente diffusa. Ad esempio, considerando le quasi 1.000 aziende che hanno preso parte al questionario sui cambiamenti climatici del CDP del 2023, l’86% ha previsto rischi di transizione significativi per la propria attività ed il 72% rischi fisici.
Il settore finanziario da tempo ha mostrato grande consapevolezza rispetto al tema, sia su scala nazionale – pensiamo alla Banca d’Italia – che europea. La visione della BCE, esplicitata attraverso position paper e banking stress test consecutivi, è molto chiara e focalizzata sull’affrontare, monitorare e supervisionare l’esposizione delle istituzioni ai rischi climatici e ambientali: “Ci si attende che gli enti comprendano l’impatto dei rischi climatici e ambientali per il contesto in cui operano nel breve, medio e lungo periodo, in modo da poter assumere decisioni informate sul piano strategico e imprenditoriale. Nella definizione e attuazione della strategia aziendale, ci si attende che gli enti integrino i rischi climatici e ambientali aventi un impatto per il contesto in cui operano a breve, medio o lungo termine.”
In qualità di supervisore bancario, la BCE sottolinea che le istituzioni devono adottare un approccio strategico, lungimirante e completo per considerare i rischi legati al clima e all’ambiente. A novembre 2022, ha iniziato a richiedere requisiti patrimoniali aggiuntivi a quelle banche che non riescono a gestire efficacemente i rischi climatici e ambientali. Nello stesso periodo, ha anche stabilito scadenze per le banche affinché soddisfacessero progressivamente tutte le aspettative di vigilanza e incorpora con puntualità i rischi climatici nelle valutazioni della stabilità finanziaria.
Sempre in Europa, la CSRD recentemente entrata in vigore, rifacendosi agli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) per la rendicontazione di sostenibilità richiede alle aziende di essere trasparenti nei confronti degli stakeholder riguardo ai rischi climatici affrontati e alle misure adottate. Il regolatore europeo esplicitamente evidenzia di tenere conto delle discussioni con l’International Sustainability Standards Board di IFRS e la Global Reporting Initiative (GRI) per garantire un livello molto elevato di interoperabilità tra gli standard comunitari e quelli globali. Gli IFRS Sustainability Disclosure Standards, che richiedono la rendicontazione dettagliata dei rischi climatici, fisici e di transizione sono a loro volta basati sulle linee guida della Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD), che ha stabilito il canone per la rendicontazione dei rischi climatici e da IFRS è stata integrata.
Che cos’è allora un framework per la gestione dei rischi climatici?
Come visto, sono diversi i framework che aiutano governi, aziende e istituzioni a identificare, valutare e mitigare I rischi climatici. E se su scala europea lo standard è unico, negli Stati Uniti sono diversi i regolamenti locali per tracciare il proprio quadro di rischio , mentre lo standard internazionale di normazione ISO di riferimento è ISO 14090: che fornisce una struttura per la gestione dell’adattamento ai cambiamenti climatici, con un focus particolare sulla resilienza. Tutti però condividono l’assunto di fondo della distinzione tra rischi fisici e di transizione, l’ambizione di promuovere la trasparenza, l’adattamento e la mitigazione ed un approccio per step, che prendono il via dall’assessment, quindi la mappatura – con localizzazione – dei rischi, la governance del rischio che si traduce in monitoraggio e strategie di mitigazione, la comunicazione e rendicontazione.
Come elaborare un framework per la gestione dei rischi climatici
I passaggi del processo di analisi del rischio suggerita da Quantis sono appunto allineati a questi standard interoperabili e presuppongono:
- Solida Governance: per integrare le analisi degli scenari e del rischio climatico nella pianificazione strategica e nei processi di gestione del rischio societario, coinvolgendo gli stakeholder rilevanti;
- Analisi di materialità dei rischi climatici, in relazione alle diverse categorie di rischio fisico e di tranzione
- Analisi di scenario, per poter valutare la resilienza aziendale in uno spettro variegato di futuri possibili. A partire dalla scienza, quindi dagli scenari fisici elaborati dall’IPCC, IEA, NGFS per poi effettuare modellizzazioni
- Analisi degli impatti di natura finanziaria ed operativa sul business, nei diversi scenari possibili presi in considerazione
- Redazione piani di transizione e resilienza solidi in grado di offrire risposte nell’intero spettro di scenari rilevanti
- Documentazione e divulgazione, sia in risposta alla necessità di compliance normativa, sia per garantire l’ingaggio degli stakeholder ed una comunicazione trasparente e puntuale degli obiettivi e del percorso per raggiungerli.
La resilienza del business nasce infatti da scelte di adattamento e mitigazione specifiche e redatte “su misura” caso per caso.
Comprendere i profili dell’esposizione di ogni azienda al rischio climatico è il primo passo; la migliore strategia di adattamento e mitigazione nascerà da una comprensione profonda rispetto ai rischi materiali più rilevanti calati nella catena del valore.
E se da un lato, in termini di pianificazione e preparazione, la resilienza climatica assume forme diverse per ogni realtà e non esiste una formula magica o una soluzione uguale per tutti, dall’altro esiste un chiaro business case per intraprendere oggi stesso questo percorso. Il report “Cost of Inaction” già menzionato indica che i gli investimenti in adattamento e resilienza potrebbero produrre un ritorno tra 2 e 9 volte superiore all’investimento. In aggiunta, un’analisi dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), in collaborazione con BCG e Global Resilience Partnership, evidenzia un rapporto del 2023 una ratio costi/benefici da 2 volte a 7 volte per le misure di protezione dalle inondazioni e da 2 volte a 6 volte per tecnologie efficienti di raccolta dell’acqua, con rendimenti ancora maggiori nei mercati emergenti.
Ecco l’ultima parola chiave, opportunità: il valore della leadership climatica
Comprendere i propri rischi climatici è fondamentale per mantenere la resilienza aziendale, sbloccare le opportunità e garantirsi un vantaggio competitivo. Se, come detto, in termini di pianificazione e preparazione, la resilienza climatica assume forme diverse, allo stesso modo ogni azienda può valorizzare le opportunità che la transizione può offrire.
Quali? TCFD ne sintetizza alcune: l’implementazione di nuovi prodotti e servizi, l’apertura di nuovi mercati, una maggiore efficienza delle risorse e delle fonti di energia; la preservazione degli asset, scelte di investimento di maggiore premialità in ottica futura. A partire dalla propria prospettiva guidata dalla scienza teniamo a concludere allora che i rischi climatici non sono affatto minacce lontane: si stanno materializzando nell’oggi, e negare la preoccupante direzione – ad esempio – della variazione delle temperature fatte registrare nel 2024 sistemica, non invertirà la rotta.
Al contrario, l’inazione climatica ha un costo. Le aziende che non affrontano il rischio climatico e ambientale potrebbero affrontare rischi operativi, finanziari e reputazionali sostanziali già nel breve termine, mentre le realtà frontrunner stanno già realizzando benefici tangibili grazie all’adattamento e alla decarbonizzazione.
La leadership climatica non significa infatti evitamento dei rischi, ma la creazione di resilienza per aziende e società e lo sblocco del valore possibile (Benayad, A. et al. ,2024, Why Investing in Climate Action Makes Good Economic Sense, BCG).
Ogni ritardo rispetto alla riduzione delle emissioni nel presente, ed all’adozione di apprrocci rigenerativi e nature-positive, costerà caro all’umanità nel futuro, sia in termini economici, che umani – quali il rischio crescente di migrazioni climatiche, la diminuzione dell’aspettativa di vita, in prospettiva One Health, i conflitti per le risorse scarse, che ambientali. Come detto oltrepassare tipping point del delicato sistema terrestre ci porta a scenari inediti ed alla rottura degli equilibri che hanno caratterizzato la vita sul pianeta.
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