Categoria: Insights

Raccogliere le sfide del pianeta: 4 modi per promuovere la resilienza ambientale e aziendale

Comprendere l’importanza di concepire la sostenibilità in senso olistico può essere facile; agire di conseguenza è tutt’altra storia.
Ecco quattro principi fondamentali che collegano il framework dei planetary boundaries alla strategia e alle performance aziendali.

In breve:

  • Il framework dei planetary boundaries fornisce una tabella di marcia per la sostenibilità con approccio olistico, permettendo alle aziende di individuare e dare la priorità agli ambiti di  maggior rischio ambientale.
  • Promuovendo una cultura di gestione responsabile delle risorse ambientali, le aziende possono integrare gli obiettivi di sostenibilità in tutte le funzioni aziendali.
  • Accogliere un modello di economia circolare, abbandonare pratiche obsolete e investire in alternative sostenibili favorirà la sostenibilità ambientale ed economica a lungo termine.
  • La collaborazione con i fornitori, in questa prospettiva, è vitale per trasformare le supply chain, promuovere la trasparenza e garantire l’impegno verso obiettivi di sostenibilità.

Il benessere del nostro pianeta richiede un’attenzione immediata e ci si aspetta che le aziende promuovano sforzi ambiziosi per risanarlo. Le aspettative si traducono in opportunità, poiché le aziende possono basarsi altresì su un business case chiaro che le chiama ad occuparsi di sostenibilità. Le imprese, in quanto motore di innovazione e progresso, sono in una posizione unica per orientare l’economia verso l’allineamento con i limiti della Terra (Planetary Boundaries). Eppure il percorso per agire nel rispetto dei planetary boundaries può apparire complesso, specie se si considerano tutte le incertezze e le complessità della sostenibilità ambientale.

Il framework aggiornato dei planetary boundaries rivela che l’agire umano ha causato il superamento di sei confini su nove, il che ci riporta bruscamente alla necessità di mitigare lo sfruttamento eccessivo delle risorse limitate della Terra. Tuttavia, questo quadro ci offre anche un barlume di speranza, poiché fornisce una chiara tabella di marcia per intraprendere un’azione collettiva e correttiva. Dando priorità alla sostenibilità olistica, le aziende hanno la possibilità di adattarsi ad un ambiente in continua evoluzione e incorporare la resilienza nella loro catena del valore, garantendo così la sostenibilità sul lungo periodo.

Ecco quattro azioni chiave che le aziende devono compiere per operare entro i planetary boundaries:

1) Comprendere le dipendenze da e gli impatti su la Natura (+ i rischi e le opportunità associati) lungo tutta la catena del valore.

Il fondamento della sostenibilità risiede in una profonda comprensione delle dipendenze dalle risorse naturali e degli impatti sulla Natura insiti nelle operation della propria azienda. Dall’approvvigionamento delle materie prime ai processi produttivi, alla distribuzione e all’utilizzo dei prodotti, le aziende si affidano a servizi ecosistemici in ogni fase della catena del valore. Un classico passo falso avviene quando queste concentrano gli sforzi di sostenibilità esclusivamente sulle operation di maggior volume anziché tenere conto dei passaggi della catena del valore che possono comportare un forte impatto ambientale.

Le aziende devono perciò chiedersi: la mia attuale strategia di sostenibilità tiene conto di tutti i temi legati alla Natura, concentrandosi sulle aree che rendono l’azienda più vulnerabile alle minacce ambientali? Si può iniziare conducendo una solida valutazione dell’impatto e delle dipendenze ambientali, per identificare i rischi e le opportunità connessi alle operations in essere. Ciò va ben oltre le emissioni di carbonio e si addentra nella complessità del consumo di acqua ed energia, della perdita di biodiversità, dell’uso e del degrado del territorio. Partendo dalla comprensione di queste dipendenze, sarà possibile mitigare i rischi e al contempo battere nuovi percorsi tesi all’innovazione e all’efficienza. Ad esempio, un’azienda cosmetica può concentrare i propri sforzi sull’impatto del packaging o degli ingredienti utilizzati in volume elevato, per poi scoprire che alcuni ingredienti impiegati in volume inferiore equivalgono a una parte consistente del carico ambientale e costituiscono una dipendenza significativa, rappresentando pertanto un potenziale rischio finanziario per l’azienda. Pur potendo certamente fare progressi con la sua strategia originaria, l’azienda si esporrebbe a notevoli rischi non affrontando i suoi principali punti caldi in ambito ambientale.

Dipendenze e impatti elevati possono essere associati a rischi fisici o di transizione consistenti, che si traducono in un potenziale aumento dei costi operativi o nella perdita di quote di mercato. Spesso la parte più impegnativa non è solo l’identificazione degli hotspot lungo la catena del valore, ma anche la capacità di destreggiarsi tra i vari indicatori e articolarli in un piano d’azione coerente, senza disperdere troppe energie su indicatori non cruciali per le attività specifiche dell’azienda.

2) Spronare le altre funzioni aziendali ad abbracciare una gestione ambientale responsabile.

I team di sostenibilità operano spesso come funzioni satellite, con strategie e piani d’azione che non sono completamente integrati nell’azienda nel suo complesso. Lasciare a un solo team l’onere di gestire la trasformazione sostenibile dell’attività di un’intera società è un’impresa titanica e poco realistica, specie se quel team è isolato dal resto dell’azienda. I team di sostenibilità potrebbero non conoscere a fondo le realtà operative di ogni reparto, il che rende ancora più difficile fissare obiettivi pertinenti.

Per mettere in atto una trasformazione aziendale riuscita e sostenibile, gli approfondimenti e i dati sulla sostenibilità devono essere integrati in tutto il tessuto aziendale, non solo in seno ai team di sostenibilità. I dirigenti al vertice, quelli di alto livello e quelli di medio livello responsabili delle funzioni chiave, come ricerca e sviluppo o approvvigionamento e marketing, devono essere in grado di utilizzare le informazioni fornite dal team di sostenibilità per mettere in atto cambiamenti nei propri reparti.

Affinché il cambiamento possa attecchire davvero, è necessario adottare meccanismi e incentivi specifici per garantire che i responsabili dei reparti agiscano in base a tali informazioni, oltre alle loro consuete priorità. Ogni reparto dell’azienda, dallo sviluppo del prodotto al marketing, dovrebbe essere incaricato di stabilire obiettivi di sostenibilità in linea con le più ampie finalità aziendali. Tale collaborazione potrebbe profilarsi così:

  • Marketing: lancio di una campagna di coinvolgimento dei consumatori incentrata sulla sensibilizzazione e sull’incentivazione di comportamenti sostenibili.
  • Operations: analisi dei rischi operativi legati all’ambiente e raccolta spunti su possibili certificazioni;
  • Finance: collaborazione con il team di sostenibilità per anticipare il contesto normativo, valutare il potenziale impatto finanziario dei rischi operativi e soddisfare le aspettative degli investitori in materia di sostenibilità.
  • Acquisti: gestione dei rischi fisici e di transizione associati alla gamma di materie prime o prodotti di un’azienda per garantire la continuità delle forniture.

Questo tipo di cambiamento organizzativo richiede una chiara visione della sostenibilità, in cui gli obiettivi siano integrati nel processo decisionale a ogni livello. Creando obiettivi rilevanti per ciascun reparto, coloro che non fanno parte del team di sostenibilità potranno capire come contribuire alla strategia complessiva, creando una forte cultura della sostenibilità. Questo switch culturale può aiutare le aziende a vedere progressi concreti nei loro sforzi verso la sostenibilità e contribuire a generare un maggiore valore aziendale.

3) Dimenticare le filosofie aziendali desuete, non sono in linea con un panorama in continua evoluzione.

A causa del sovraconsumo e del depauperamento della Natura e dei servizi ecosistemici, molte aziende hanno finito per utilizzare ancora più risorse naturali come l’acqua, che degradano ulteriormente la terra da cui provengono per ottenere raccolti di pari volume, generando così un ulteriore deperimento e una riduzione progressiva della qualità. In ultima analisi, ciò si traduce in un prodotto qualitativamente inferiore a un prezzo più elevato. Le aziende dovrebbero investire più tempo, denaro e risorse per mantenere la qualità dei prodotti, il che semplicemente non è sostenibile a lungo termine, sia dal punto di vista ambientale che da quello economico.

Le aziende devono abbandonare le pratiche take-make-waste dell’economia lineare, che non consentono all’attività di prosperare in un’economia planetaria. Il passaggio ad approcci più circolari e rigenerativi richiede un cambiamento di mentalità fondamentale. Un modello di economia circolare implica la minimizzazione degli sprechi mantenendo le risorse in uso il più a lungo possibile, estraendone il massimo valore e recuperando e rigenerando in modo responsabile prodotti e materiali al termine del loro ciclo vitale.

Investire nella ricerca e nello sviluppo di alternative sostenibili alle pratiche attuali è un modo per svincolarsi dai modelli di business convenzionali. Le aziende possono partire dal rivalutare i loro processi di approvvigionamento e dal costruire relazioni più solide con i fornitori che aderiscono ai principi dell’economia circolare. Ciò prevede l’approvvigionamento di materiali facilmente riciclabili e la promozione di sistemi a circuito chiuso. Ma anche esplorare materiali di imballaggio alternativi, adottare processi di produzione innovativi o ripensare il ciclo di vita dei prodotti. Inoltre, abbracciare i progressi tecnologici e digitalizzare le operation aziendali può ottimizzare l’uso delle risorse e migliorare l’efficienza complessiva.

4) Collaborare con i fornitori per trasformare le supply chain.

La trasformazione sostenibile non può essere raggiunta in modo isolato. Azionisti, consumatori e fornitori sono stakeholder su cui le aziende fanno affidamento per portare avanti i propri obiettivi di sostenibilità, soprattutto perché, per molte catene del valore, gli impatti sulla Natura esulano dalle attività commerciali dirette.

I fornitori sono stakeholder essenziali e collaborare con loro è di primaria importanza per trasformare le supply chain. Una volta che un’azienda avrà tracciato la mappa dei suoi fornitori, la conduzione di un audit approfondito e l’identificazione delle loro iniziative di sostenibilità potranno far emergere opportunità di miglioramento e promozione dell’impegno collettivo. È essenziale avviare un dialogo trasparente con i propri fornitori, incoraggiandoli ad adottare processi di approvvigionamento, manodopera e produzione sostenibili. È assai probabile che ciò richieda anche un sostegno finanziario di qualche tipo, sia esso l’offerta di premi o il finanziamento di programmi di formazione per i fornitori sulle best practice da adottare.


Operare entro i planetary boundaries tutela l’ambiente e l’umanità, generando al contempo vantaggi tangibili per le imprese. Le aziende che danno priorità alla sostenibilità possono rendere la propria attività a prova di futuro tutelandola da potenziali sconvolgimenti ambientali e garantendone in questo modo la resilienza a lungo termine e la competitività sul mercato. Ciò, oggi, ha senso anche da un punto di vista economico: integrare la sostenibilità nelle operations aziendali può rappresentare una mossa promozionale, mitigare i rischi normativi e aumentare la fiducia degli stakeholder tra fornitori, investitori e consumatori.

Questi principi forniscono alle aziende una tabella di marcia per acclimatarsi e prosperare entro i limiti delle risorse del nostro pianeta. Adottando le giuste misure per affrontare i loro impatti, le aziende possono mitigare i rischi ambientali e sbloccare la trasformazione in termini di sostenibilità.

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L’innovazione si intreccia alla moda

I marchi di moda sono chiamati a raddoppiare i propri sforzi in termini di innovazione per garantire un futuro prospero.

In breve:

  • L’industria della moda fatica a procedere oltre la fase “pilota” rispetto ai materiali innovativi e a basso impatto, fondamentali invece per prepararsi alle esigenze future e raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.
  • Le nuove normative mirate alla riduzione dell’impatto ambientale delle materie prime stanno spingendo i Brand ad adottare materiali alternativi a basse emissioni di carbonio. 
  • Investimenti strategici in materiali innovativi possono fornire vantaggi finanziari significativi e aiutare le imprese a ridurre i rischi associati all’impiego di materie prime tradizionali. 
  • Una comunicazione e una collaborazione efficaci con le start-up, così come solide valutazioni ambientali e pianificazione strategica sono fondamentali per integrare con successo i materiali responsabili nei prodotti di moda. 

L’industria della moda è nota per la sua creatività. Tuttavia, quando si parla di trovare soluzioni innovative per far fronte alla crisi ambientale, i marchi sembrano bloccati nella fase sperimentale. I materiali alternativi a basso impatto stanno guadagnando terreno in risposta agli appelli alla sostenibilità lanciati dall’industria, ma non alla velocità o al livello di cui il pianeta ha bisogno.  

E questo non significa che manchino le buone intenzioni. Le aziende hanno reagito con sgomento alla recente notizia che uno degli innovatori più promettenti nel campo dei materiali aveva dichiarato bancarotta. Questo colpo inferto allo slancio innovativo del settore solleva la seguente domanda: i materiali innovativi – e gli innovatori, e le start-up alle loro spalle – sono davvero una scommessa su cui l’industria dovrebbe puntare? 

La risposta è un deciso “sì”. Anziché tirarsi indietro, i marchi di moda dovrebbero raddoppiare gli sforzi di innovazione in prospettiva future-oriented. Lo sviluppo e la domanda di materie prime a basso impatto rispetto a quelle vergini convenzionali è un’area specifica a cui dare priorità. E non solo perché le scarpe di “pelle” ricavata dai funghi o i maglioni realizzati con fibre coltivate in laboratorio sono en vogue in passerella, ma perché il sostentamento del settore – e del nostro pianeta – dipende dal tagliare i ponti con il “business as usual”.  

Il materializzarsi dei rischi si traduce in opportunità di innovazione dei materiali

I decisori politici, propensi a utilizzare la regolamentazione per ridurre l’impatto ambientale dell’industria, prestano attenzione al mondo della moda. Nel corso dei prossimi quattro anni verranno introdotti più di 35 nuovi testi legislativi in tutto il mondo, tra cui restrizioni all’importazione di capi di abbigliamento che si potrebbero alimentare la crisi climatica, linee guida per il design dei prodotti e nuovi requisiti di etichettatura. Gran parte di questa attenzione normativa riguarderà le materie prime, poiché queste ultime possono rappresentare fino a due terzi dell’impatto climatico di un Brand.1  

E mentre le aziende si preparano a soddisfare le normative future e ad abbracciare la sostenibilità, i materiali innovativi di ultima generazione emergono come un promettente tassello del puzzle. L’utilizzo di materiali circolari, riciclati , a base biologica o con minore impronta di carbonio può ridurre in modo significativo l’impatto ambientale di un marchio della moda e supportare quell’85% dei Brand che hanno reso pubblici i propri obiettivi di decarbonizzazione.2  

L’abbandono graduale dei materiali convenzionali può essere anche un’abile mossa commerciale. Secondo l’ultima analisi di BCG, Textile Exchange e Quantis, i marchi che intervengono subito per garantirsi un approvvigionamento di materie prime alternative a basso contenuto di carbonio saranno in grado di ottenere un aumento medio dei profitti del 6% dopo cinque anni. Inoltre, il modello suggerisce che un Brand di moda che fattura oltre un miliardo di dollari all’anno ha il potenziale di sfruttare un’opportunità cumulativa di circa 100 milioni di dollari nell’arco di cinque anni. Queste normative potrebbero al contrario mettere a rischio l’8% dell’utile operativo per i marchi che non adeguano il proprio portafoglio di materie prime. 

La crisi ambientale, che sta rapidamente accelerando i cambiamenti nei nostri ecosistemi, nelle condizioni di coltivazione e nella qualità dei raccolti, continua a mettere a rischio la disponibilità, l’accessibilità e il prezzo delle materie prime convenzionali. Sono sempre più numerosi i marchi di moda che riconoscono la necessità di agire rapidamente e molti hanno già iniziato a esplorare il mondo dell’innovazione dei materiali. 

Tuttavia, esistono diversi esempi di grandi marchi di moda che hanno intrapreso il grande passo, investendo e aiutando a far crescere start-up innovative, per poi incontrare notevoli ostacoli economici e logistici, troppo grandi per essere superati. Orientarsi nel mercato e valutare le potenziali alternative può essere un campo minato, perciò non sorprende che i progressi reali abbiano lasciato il posto a un ciclo infinito di programmi pilota che difficilmente vengono messi in atto. Ma i Brand possono cambiare la situazione? E in che modo? 

Senza una solida strategia, anche le partnership più promettenti e i progetti pilota sostenuti dalle migliori intenzioni possono andare in frantumi. Puntare tutto sull’innovazione per sostenere la creazione dei materiali del futuro significa andare oltre il semplice sviluppo di una piccola collezione di capi di abbigliamento in grado di attirare i consumatori attenti alle tematiche ambientali. Occorre un impegno strategico per spingersi oltre, superare la fase sperimentale e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento nella misura necessaria a soddisfare tutti gli impegni presi e gli obblighi nei confronti del pianeta.  

Creare un ecosistema per l’innovazione

L’innovazione progredisce rapidamente, perciò i Brand devono agire con decisione, assicurandosi al tempo stesso di poter contare sulle giuste competenze. È facile rimanere colpiti dalle start-up dell’innovazione quando espongono le proprie soluzioni. Occorre, tuttavia, pragmatismo nel decidere quale percorso intraprendere rispetto ai materiali alternativi. Nel vagliare il loro potenziale, è sbagliato tralasciare l’aspetto relativo alla valutazione ambientale. Un’affidabile analisi dei dati e solide basi scientifiche dovrebbero definire la strategia da adottare e aiutare a sviluppare un approccio che abbia senso per un’azienda e il suo portafoglio di prodotti.  

È bene iniziare selezionando strategicamente l’area di interesse in cui i materiali innovativi possono realmente aggiungere valore e fare la differenza nel lungo periodo. In questo contesto, è importante effettuare valutazioni ambientali in modo sia dinamico che ripetuto per ottenere un miglioramento continuo all’interno del processo di ricerca e sviluppo. Nelle prime fasi dello screening, occorre accertarsi di disporre di un numero sufficiente di dati validi su cui basare le proprie decisioni e tenere conto del fatto che i materiali potrebbero evidenziare scarse prestazioni nelle prime valutazioni ambientali. Le economie di scala potrebbero risolvere questo problema in un secondo momento, pertanto è bene fare le dovute considerazioni. Dopo che le valutazioni di screening avranno fornito un primo orientamento al Brand e al fornitore, analisi più approfondite potranno aiutare a eliminare eventuali hotspot, quali eventuali burden-shifting lungo la catena del valore.  

Vista la ricchezza di soluzioni interessanti e potenzialmente rivoluzionarie in un mercato sempre più affollato di materie prime alternative, i marchi di moda devono effettuare tutti gli opportuni accertamenti. Ad esempio, prima di procedere è bene assicurarsi che la start-up con cui si collabora abbia un modello di business solido e una buona capacità di crescita. Per essere praticabile, il modello commerciale dell’innovatore deve essere al servizio dei Brand. Detto questo, i marchi devono anche essere disposti ad assumersi parte del rischio attraverso accordi vincolanti in termini di volumi e acquisti. È auspicabile che il percorso di innovazione sia veramente collaborativo; poiché saranno necessari investimenti in nuove tecnologie, i marchi di moda dovrebbero essere disposti a investire e diventare partner della catena di fornitura.

È, infine, altrettanto importante garantire una cauta gestione delle aspettative. I nuovi materiali potrebbero non offrire le stesse prestazioni e le medesime qualità dei materiali convenzionali, quindi, è fondamentale essere aperti e pazienti. Potrebbe, infatti, essere necessario continuare a investire in ulteriori test, nella direzione del miglioramento continuo.  

Comunicare con attenzione e parlare con chiarezza

Comunicare in modo efficace il proprio percorso di innovazione è importante quasi quanto il viaggio stesso. Come per qualsiasi attività di ricerca e sviluppo in rapida evoluzione, il coinvolgimento di start-up e innovatori può essere complesso. All’inizio, i dati disponibili potrebbero essere limitati e il raggiungimento di un’economia di scala richiedere del tempo. Tenere aggiornati i propri stakeholder con resoconti trasparenti, precisi e intenzionali sarà quindi un must. I materiali alternativi potrebbero non produrre risultati immediati in termini di impatto ambientale, quindi è molto importante che le comunicazioni siano accurate e tengano conto non solo del potenziale positivo e scalabile dei materiali, ma anche dei limiti di ciò che si può ottenere, rispetto alla variabile tempo.  

L’entusiasmo per il potenziale dei materiali alternativi non dovrebbe mai cedere al greenwashing o all’esagerata enfatizzazione della sostenibilità nelle dichiarazioni di prodotto. È bene parlare del vantaggio reale e quantificabile del materiale, evitando di promuoverlo come “green” o “eco-compatibile” solo per stimolare la domanda dei consumatori. I marchi devono assicurarsi il miglior supporto sul punto, per garantire compliance normativa e successo reputazionale.  

Non bisogna farsi scoraggiare: ora più che mai c’è bisogno di innovazione nell’industria della moda

La diffusa transizione verso materiali a basso impatto ha il potenziale per cambiare le carte in tavola nel campo della moda. La difficoltà nel trovare i partner giusti per risolvere il rompicapo domanda-offerta non dovrebbe essere un fattore deterrente nell’abbracciare l’innovazione. Infatti, come conferma l’analisi di mercato di BCG e Quantis, il vantaggio per i first mover nel campo delle materie prime è significativo, poiché si prevede che solo il 19% dei materiali sarà a basso impatto nel 2030. 

Nel tracciare una solida linea strategica per gli investimenti in innovazione, si avrà modo di guardare con chiarezza e sicurezza al futuro prossimo (piuttosto che concentrarsi sui ritorni immediati), raggiungendo così vantaggi in termini di efficienza e scalabilità e riducendo in maniera decisiva e per sempre l’impronta ambientale della moda. 

Adottando un approccio pragmatico e scientifico ai materiali, integrando i materiali di ultima generazione solo dove aggiungono realmente valore, vagliando attentamente gli innovatori e le loro soluzioni, assumendosi rischi e comunicando con attenzione, i marchi possono risolvere l’enigma dell’innovazione e accelerare la trasformazione sostenibile. 

1 Analisi Quantis – impatti da Tier4 a Tier2 nella Corporate Footprint di brand del fashion.

2 Analisi BCG basata su 36 realtà fashion e Brand, che rappresentano oltre il 10% dei ricavi del settore.

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Protagonisti del rinnovamento sostenibile attraverso la democratizzazione dei dati

Man mano che le aziende esplorano la digitalizzazione dei processi di sostenibilità, la democratizzazione dei dati si rivela essere il motore trainante in grado di promuovere un approccio olistico.

In breve:

  • La strutturazione, la centralizzazione e la democratizzazione dei dati di misurazione dell’impronta ambientale (footprinting) consentono di ottenere diversi vantaggi, tra cui il miglioramento del processo decisionale e una maggiore trasparenza.
  • Le aziende ancora esitano a investire nella digitalizzazione a motivo dell’investimento richiesto e delle complessità nella quantificazione del ROI.
  • Per superare questi ostacoli, occorre pianificare investimenti strategici, dare priorità all’integrità dei dati e promuovere la collaborazione interfunzionale.
  • Nel concreto, tra le azioni da intraprendere vi sono lo sviluppo di una solida strategia di raccolta e gestione dei dati, l’accesso a fattori di emissione affidabili e la selezione del giusto strumento, che soddisfi le specifiche esigenze aziendali.

Sapere è potere, recita l’adagio. Ecco perché raccogliamo i dati e siamo sempre alla ricerca di modi migliori per archiviarli, organizzarli, gestirli e utilizzarli. Tuttavia, i dati di per sé non sono conoscenza, piuttosto invece la conoscenza può essere sviluppata dai dati grazie alle analisi e agli approfondimenti che ne ricaviamo.

Le tecnologie digitali in quest’ambito non sono certo una novità, ma la portata e la raffinatezza di questi strumenti, insieme alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia per rispondere ai bisogni più critici della società, fanno ancora notizia. Questo è vero anche sul piano delle soluzioni per la crisi ambientale; infatti, abbiamo appena iniziato a esplorare il potenziale del digitale nel fornire supporto alla trasformazione sostenibile.

Le opportunità offerte dalla digitalizzazione dei processi di sostenibilità sono pressoché infinite

La centralizzazione e la democratizzazione delle informazioni aziendali e dei dati sulla footprint in tutte le funzioni aziendali può significativamente contribuire in vari modi alla creazione di imprese più sostenibili.

Miglioramento del processo decisionale: disponendo di dati centralizzati sulla sostenibilità, i decision maker dei vari reparti possono accedere a informazioni coerenti e complete sull’impatto ambientale di attività, prodotti e servizi della propria organizzazione. Questo favorisce un processo decisionale più consapevole e in linea con gli obiettivi di sostenibilità.

Maggiore trasparenza: la democratizzazione dell’accesso ai dati sul footprinting garantisce che tutti gli stakeholder, inclusi dipendenti, clienti e investitori, possano conoscere l’impatto ambientale dell’azienda. Questa trasparenza può rafforzare l’affidabilità e la reputazione dell’azienda, incrementando potenzialmente la fidelizzazione della clientela e la fiducia da parte degli investitori.

Potenziamento dell’innovazione sostenibile: ampliando la disponibilità dei dati di impatto, le imprese possono promuovere una cultura dell’innovazione in cui collaboratrici e collaboratori si sentono responsabilizzati nel proporre e sviluppare soluzioni per la riduzione. Questo approccio collaborativo può portare all’individuazione di processi più efficienti, materiali più sostenibili e prodotti innovativi in linea con gli obiettivi di sostenibilità.

Semplificazione del reporting e della compliance: la centralizzazione dei dati ambientali semplifica il processo di redazione dei report per la conformità alle normative e le certificazioni di sostenibilità. Consente alle aziende di monitorare in modo più efficiente i propri progressi rispetto agli obiettivi di sostenibilità e di comunicarli agli stakeholder esterni.

Riduzione dei costi: l’identificazione delle aree di miglioramento in campo ambientale spesso coincide con l’individuazione di efficienze in grado di ridurre i costi. Ad esempio, la riduzione di sprechi, rifiuti e consumi energetici e l’ottimizzazione delle catene di approvvigionamento non solo limitano l’impatto ambientale, ma possono anche diminuire in modo significativo i costi operativi.

Incremento del vantaggio competitivo: una particolare attenzione alla sostenibilità può differenziare un’azienda dai concorrenti. Sfruttando dati centralizzati e democratizzati sul footprinting, le imprese possono evidenziare e promuovere il proprio impegno a favore della sostenibilità, intercettando l’interesse di consumatori e collaboratori attenti alle tematiche ambientali.

Gestione del rischio: l’accesso a dati ambientali completi consente alle aziende di identificare e gestire meglio i rischi associati al cambiamento climatico, alla scarsità di risorse e alla continua evoluzione degli scenari normativi. Affrontando in modo proattivo questi rischi, le imprese possono evitare potenziali sanzioni, perturbazione nella catena di fornitura e danni alla reputazione del proprio brand.

Collaborazione interfunzionale: la democratizzazione dei dati favorisce un senso di responsabilità condivisa nei confronti degli obiettivi di sostenibilità in tutta l’organizzazione. Incoraggia la collaborazione tra i reparti, quali ricerca e sviluppo, procurement, marketing e logistica, determinando un approccio più coerente alla sostenibilità.

Se i vantaggi sono così tanti, perché le aziende che vogliono coglierli non sono più numerose?

Nonostante gli evidenti vantaggi, adottare un approccio di centralizzazione e democratizzazione delle informazioni e dei dati sul footprinting da parte delle aziende non è ancora una scelta mainstream. I fattori che hanno contribuito a questa scarsa propensione sono diversi.

Una barriera significativa è rappresentata dai vincoli di risorse che le aziende devono fronteggiare. L’implementazione di un sistema di dati centralizzato richiede un notevole investimento iniziale in tecnologia, personale e formazione. Inoltre, la decisione di dedicare membri dello staff alla formazione e alla gestione dei dati di sostenibilità può distogliere risorse da altre priorità aziendali urgenti e risulta decisamente impegnativa per le organizzazioni che devono soppesare costi e benefici di questa scelta. Ma è essenziale riconoscere che, nonostante i possibili costi iniziali associati all’implementazione di un sistema di dati centralizzato, i benefici a lungo termine spesso superano di gran lunga le spese. Semplificando i processi, identificando le opportunità di risparmio sui costi e migliorando le capacità decisionali, i sistemi centralizzati di gestione dei dati possono in ultima analisi consentire maggiore efficienza e significative riduzioni dei costi.

D’altra parte, alcune aziende faticano a quantificare il ritorno sull’investimento (ROI) di sistemi centralizzati di gestione dei dati, in parte a causa dell’esitazione sulla scelta se acquistare o sviluppare tali sistemi. Questo aspetto solleva interrogativi sul costo totale, la cui valutazione può rivelarsi complicata senza la definizione di un business case adeguato e la richiesta di informazioni (RFI) o quotazioni. Benché numerose evidenze suggeriscano che investire in iniziative di sostenibilità può produrre benefici a lungo termine, la mancanza di una chiara comprensione dei potenziali guadagni finanziari può scoraggiare i responsabili decisionali. I vantaggi della sostenibilità vanno ben oltre i ritorni finanziari, perciò, anche se la quantificazione del ROI per le iniziative di sostenibilità può essere impegnativa, la proposta di valore complessiva è comunque innegabile.

Un’altra preoccupazione che frena molte aziende riguarda la garanzia dell’accuratezza e attendibilità dei dati sulla sostenibilità. Una scarsa qualità dei dati può minare la fiducia nei parametri indicati nei report e ostacolare gli sforzi volti a promuovere cambiamenti significativi e positivi. Invece di considerare i problemi relativi alla qualità dei dati come un motivo per evitare la centralizzazione, le aziende devono vederli come un’occasione per dare priorità all’integrità dei dati e investire in sistemi robusti per la raccolta, la convalida e la verifica. Adottando corretti strumenti di ricerca e adeguati processi, i sistemi centralizzati di gestione dei dati possono effettivamente migliorare la qualità delle informazioni, fornendo maggiore visibilità e controllo su dati in input e output.

Anche lo scenario normativo inerente il reporting e la compliance ambientale è fonte di esitazione per molte aziende. L’incertezza rispetto alle normative future può rendere le aziende più caute nell’investire in nuovi sistemi che potrebbero richiedere successivi adattamenti o ampliamenti, complicando ulteriormente il processo decisionale. Tuttavia, anziché attendere maggiore chiarezza normativa prima di passare all’azione, le aziende dovrebbero considerare i mutamenti normativi come un’opportunità per preparare e adeguare la propria operatività alle esigenze future e per dimostrare di saper assumere il ruolo di leader nella sostenibilità. Con un investimento in sistemi flessibili e adattabili per la gestione dei dati, le imprese possono attrezzarsi per conformarsi rapidamente alle normative future, assicurandosi al tempo stesso un vantaggio competitivo sul mercato.

Eventuali compartimenti stagni sul piano organizzativo rappresentano un altro ostacolo significativo. In molte aziende, i reparti operano in modo isolato, con scarsa comunicazione e collaborazione tra le funzioni. Una struttura organizzativa radicata e la resistenza al cambiamento possono ostacolare ulteriormente il progresso verso la sostenibilità. È fondamentale abbattere le barriere e promuovere la cooperazione interfunzionale per garantire il successo nella centralizzazione e democratizzazione dei dati e inoltre sbloccare sinergie e promuovere l’innovazione a vantaggio dell’intera organizzazione.

Analogamente, il passaggio a un modello di business più sostenibile richiede un cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione, con l’adesione e l’impegno della leadership e dello staff, a tutti i livelli. La resistenza ai cambiamenti, lo scetticismo circa il valore delle iniziative di sostenibilità, la scarsa sensibilità o comprensione dell’importanza della tutela dell’ambiente possono rappresentare ostacoli significativi al progresso. Coinvolgendo i dipendenti, promuovendo un senso di obiettivo condiviso e allineando gli obiettivi di sostenibilità agli obiettivi aziendali, le aziende possono superare le barriere culturali e stimolare cambiamenti più rilevanti e significativi.

Quali sono i passi da intraprendere?

Come evitare che il percorso verso la centralizzazione e la democratizzazione dei dati di impatto appaia scoraggiante? Ecco gli step che raccomandiamo:

1. Sviluppo di una strategia dei dati

Sviluppare e perfezionare una strategia solida è il cardine per una gestione efficace dei dati di misurazione dell’impatto ambientale. Per poterla redigere è necessario lavorare al il consolidamento di dati sparsi – di varia qualità e provenienza – e la definizione di una chiara governance per la distribuzione di dati di alta qualità. Con un’accurata analisi e pianificazione strategica, le aziende saranno meglio preparate all’automazione e al monitoraggio dei progressi e porranno le basi per il successo di iniziative di sostenibilità.

2. Accesso alla corretta banca dati dei fattori di emissione (EF)

L’accesso a fattori di emissione affidabili diventa sempre più importante con la progressiva maturazione dell’azienda per valutare in modo accurato l’impronta di carbonio e fissare obiettivi di sostenibilità significativi. Quando l’azienda inizia a mettere a punto strategie volte a ridurre la propria impronta e a riflettere sui progressi fatti, avrà una maggiore necessità di dati granulari e accurati. Inoltre, gli auditor spesso richiedono dati più recenti e precisi man mano che le aziende avanzano nel loro iter verso la sostenibilità. Pertanto, queste ultime devono poter accedere a fattori di emissione pubblicati in database riconosciuti, integrati periodicamente con aggiornamenti e nuove versioni. Disporre di una fonte di fattori di emissione affidabile garantisce il monitoraggio accurato dei progressi e consente di prendere decisioni informate in materia di impatto ambientale.

3. Selezione del giusto strumento 

La scelta dello strumento corretto per la misurazione dell’impronta ambientale è fondamentale per razionalizzare le iniziative di sostenibilità. Le aziende devono innanzitutto riconoscere i rischi delle diverse soluzioni, tra cui la possibilità che gli strumenti non funzionino nel modo previsto, contengano bug, non includano manutenzione o (nella peggiore delle ipotesi) causino instabilità. Per contribuire a mitigare questo rischio, è consigliabile effettuare le opportune verifiche di due diligence e coinvolgere referenti esperti sia di sistemi informatici che di sostenibilità per guidare questo processo di selezione. Occorre considerare i requisiti funzionali e non funzionali, compresi la sicurezza e l’accesso IT. Questa valutazione richiede il coinvolgimento attivo del reparto IT fin dall’inizio del progetto, sottolineando che si tratta di un’iniziativa congiunta tra sostenibilità e IT. Attenendosi a questi principi e coinvolgendo i giusti stakeholder, le aziende possono mitigare i rischi, garantire l’allineamento con gli obiettivi organizzativi e selezionare uno strumento di footprinting che soddisfi le loro specifiche esigenze. Un simile approccio incrementa inoltre l’autonomia del business e migliora il monitoraggio della complessità attraverso l’automazione.

4. Implementazione dello strumento 

Affinché risulti efficace, l’implementazione dell’impronta ambientale nel software prescelto richiede molta attenzione nelle fasi di pianificazione, delega ed esecuzione. È necessario demarcare chiaramente le responsabilità tra gli stakeholder coinvolti ed è fondamentale stabilire una precisa titolarità dei requisiti metodologici per garantire coerenza e accuratezza durante tutto il processo di implementazione. Le aziende devono organizzare un team diversificato e dedicato con conoscenza dell’impronta aziendale, dei dati, degli obiettivi e dello strumento digitale prescelto. Il team dirigerà l’intero processo di implementazione (integrazione dei dati, test dei risultati, preparazione di analisi dettagliate), facilitando il buon esito della transizione verso una soluzione digitale di footprinting.

Per centralizzare e democratizzare con successo le informazioni aziendali e i dati di impatto, le imprese devono investire in sistemi affidabili per la gestione dei dati, incoraggiare una cultura di trasparenza e collaborazione e provvedere alla formazione affinché tutti i membri del personale dispongano delle nozioni necessarie per utilizzare tali dati in modo efficace. Questa strategia non solo contribuisce alla sostenibilità ambientale, ma migliora anche l’efficienza operativa, l’innovazione e la competitività.

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Il volto nascosto della bellezza: mitigare i rischi correlati alle materie prime nella cosmetica sostenibile

raw material risks in sustainable cosmetics
raw material risks in sustainable cosmetics

Con le migliaia di ingredienti contenuti nelle formule degli odierni cosmetici e l’importanza primaria del packaging nella presentazione, i team di R&D e di design del prodotto devono scegliere con grande cautela le materie prime da utilizzare.

Con le migliaia di ingredienti contenuti nelle formule degli odierni cosmetici e l’importanza primaria del packaging nella presentazione, i team di ricerca e sviluppo e di design del prodotto devono scegliere con grande cautela le materie prime da utilizzare. I consumatori prestano sempre più attenzione alle etichette degli ingredienti, ed i team di ricerca e sviluppo intendono dare la priorità a materiali sostenibili. Inoltre, le disposizioni normative sulla sostenibilità dei prodotti si stanno intensificando, gli investitori passano al vaglio le informative di carattere non finanziario e i rivenditori, retail come Sephora, introducono le proprie linee guida in materia per i brand.   

In tutta risposta, molti marchi di cosmetici e di prodotti per la cura della persona sono alla ricerca di soluzioni innovative. Tuttavia, si ritrovano spesso a focalizzare l’attenzione su una serie limitata di obiettivi (ad esempio specifiche tendenze di consumo come la bellezza naturale) o sul raggiungimento degli obiettivi comunicati relativi alla riduzione delle emissioni di carbonio o dell’utilizzo di materiali plastici. E questo comporta il rischio di un impact shifting non intenzionale.  

Impact shifting: una sfida importante per l’industria cosmetica  

Per i brand che operano nel settore della bellezza, i rischi di uno spostamento dell’impatto sono particolarmente rilevanti nella diffusa tendenza che punta a materie prime provenienti da fonti naturali. La domanda di materie prime di origine biologica è aumentata poiché i consumatori ritengono che gli ingredienti naturali siano meno dannosi dal punto di vista chimico o maggiormente eco-compatibili. Anche altre priorità comuni nell’ambito di una gestione responsabile dell’ambiente, come la decarbonizzazione e la riduzione dell’inquinamento causato dalla plastica, stanno determinando un rinnovato orientamento verso materie prime naturali, sia per gli ingredienti che per i materiali di imballaggio. Si possono citare come esempi il boom di popolarità degli oli essenziali vegetali, la domanda di bioetanolo derivato dalla canna da zucchero, la sostituzione dei siliconi a elevato contenuto di carbonio con esteri di origine biologica, il passaggio dalla plastica alle fibre per i materiali da imballaggio e l’introduzione della cellulosa in sostituzione delle microplastiche. 

Anche i materiali a base biologica, tuttavia, possono avere impatti significativi sull’utilizzo del suolo e sulla biodiversità. Un esempio tanto preoccupante quanto ormai familiare è quello della coltivazione dell’olio di palma, che ha finito per causare il 7% della deforestazione globale tra il 2000 e il 2018. Per alcuni ingredienti, come gli oli essenziali, l’aumento della domanda ha comportato anche un’industrializzazione della produzione. Gli oli essenziali richiedono notevoli quantità di materie prime per rese ridotte. Basti pensare che occorrono 50 petali per ottenere una singola goccia di olio di rose. L’industrializzazione della produzione, necessaria a soddisfare la crescente domanda, può causare inoltre un utilizzo più intensivo di fertilizzanti e pesticidi. Pertanto, ogni variazione nei materiali determina spostamenti di impatti non intenzionali da un sistema a un altro, ad esempio con la riduzione delle emissioni di carbonio in parallelo a un aumento del consumo idrico oppure con l’eliminazione dell’inquinamento causato dalla plastica, ma a scapito di un incremento della deforestazione.  

Lo spostamento dell’impatto si verifica anche con le migliori intenzioni di trasformazione sostenibile. Le aziende nel settore della cosmetica e dell’igiene personale devono essere consapevoli dei rischi e prendere decisioni ponderate. 

Se si vuole evitare l’impact shifting, occorre incentrare l’innovazione non più su un numero ristretto di obiettivi, bensì adottare approccio più olistico finalizzato alla creazione di nuovi prodotti eco-compatibili e che miri a limitare conseguenze più generali sull’ambiente. Le aziende capaci di identificare e mitigare i rischi di spostamento dell’impatto sapranno scegliere materiali e processi adeguati alle sfide future e potranno accelerare il proprio percorso verso la riduzione dell’impatto. Questa trasformazione richiede tre passi importanti:  

1. Comprendere gli effetti complessivi delle materie prime e identificare i rischi di spostamento dell’impatto

Per prendere decisioni ponderate sull’innovazione dei materiali, i brand devono anzitutto effettuare una valutazione del ciclo di vita (LCA) per analizzare i molteplici impatti durante l’intero ciclo di vita del prodotto. Una risorsa disponibile è la metodologia europea per la valutazione dell’impronta ambientale dei prodotti (PEF), che comprende 16 indicatori con cui misurare gli impatti su emergenza climatica, ecosistemi, salute umana, uso delle risorse e consumo idrico. In collaborazione con Quantis, L’Oréal ha sviluppato il Sustainable Product Optimization Tool (SPOT), un innovativo strumento di eco-progettazione per valutare le performance ambientali del brand nel tempo.

2. Consentire l’utilizzo dei dati sull’impatto da parte dei team di ricerca e sviluppo 

La semplice misurazione dell’impatto non è sufficiente a guidare un’innovazione rispettosa delle risorse. È necessario che le aziende permettano ai propri team di utilizzare i dati sull’impatto per orientare le scelte di progettazione dei prodotti e a tal fine dovrebbero:

Ripensare i processi di sviluppo del prodotto in modo da includere le informazioni sull’impatto ambientale fin dalle prime fasi di progettazione. Oggi, i dati sull’impatto disponibili sono spesso visibili solo ai team che si occupano di sostenibilità, escludendo i team di ricerca e sviluppo. Le considerazioni ambientali vengono incluse tardivamente nel processo di sviluppo del prodotto, se non addirittura ignorate.

Integrare gli aspetti ambientali nelle strutture di governance, affiancandoli ad altre considerazioni di carattere economico, come la redditività e l’efficacia. L’adozione di regole e strutture chiare contribuisce a semplificare il processo decisionale nelle fasi cruciali dello sviluppo. Ad esempio, i brand possono scegliere di approvare solo prodotti con un impatto complessivo inferiore rispetto ai predecessori o che presentano determinate caratteristiche di responsabilità ambientale.

Aggiornare le competenze del personale di ricerca e sviluppo e di altri team in materia di sostenibilità e valutazione del ciclo di vita dei prodotti, per aiutarlo a comprendere i dati, sviluppare una mentalità di eco-progettazione e mediare tra potenziali compromessi in termini di impatto.

3. Collaborare con la catena del valore

I team di approvvigionamento svolgono un ruolo determinante nell’integrazione dei materiali più sostenibili allo scopo di ridurre i rischi di spostamento dell’impatto. Ma l’allineamento sugli obiettivi richiede soprattutto un confronto interno tra i team di approvvigionamento, ricerca e sviluppo e sostenibilità. Per mitigare l’impact shifting lungo la catena del valore, le aziende possono utilizzare le seguenti leve:

Adottare le migliori prassi in materia di approvvigionamento sostenibile per i materiali ad alto rischio, sia affidandosi a certificazioni riconosciute come la Roundtable for Sustainable Palm Oil (RSPO) o il Forest Stewardship Council (FSC), sia monitorando e coadiuvando i fornitori sulle politiche di approvvigionamento sostenibile. Il lavoro con i fornitori può avere l’ulteriore vantaggio di garantirsi l’approvvigionamento di alcuni materiali sostenibili limitati nel breve termine.

Diffondere e sostenere pratiche di agroecologia, come l’agricoltura rigenerativa, all’interno delle proprie catene del valore. L’implementazione di questi metodi su larga scala consente alle aziende di andare oltre la semplice riduzione dell’impatto, intervenendo con un’azione positiva sulla natura.

Favorire l’innovazione costante dei materiali collaborando con i fornitori (comprese le startup) allo sviluppo e all’attenta selezione di alternative alle materie prime naturali, come alghe o rifiuti agricoli. Alcuni brand di profumi hanno sperimentato l’etanolo derivante dalla cattura del carbonio, che riduce l’uso del suolo ed elimina quasi completamente il consumo idrico, mentre le aziende che intendono sostituire i siliconi possono prendere in considerazione gli esteri di origine biologica ricavati dai rifiuti.

Un approccio olistico all’innovazione

Le normative a livello nazionale e comunitario, gli standard in materia di comunicazione e reporting e il dibattito pubblico stanno evolvendo verso una visione più globale della sostenibilità. Secondo uno studio di Boston Consulting Group, il 71% dei consumatori di prodotti per la cura della pelle nutre preoccupazioni sul tema della sostenibilità. In Europa e negli Stati Uniti, la legislazione di recente o imminente approvazione relativa ai prodotti di bellezza affronta tematiche come la deforestazione, la riduzione dell’inquinamento causato dalla plastica e la regolamentazione degli ingredienti ritenuti dannosi per l’ambiente. Al tempo stesso, la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) dell’UE sta cambiando i requisiti, includendo non solo la crisi climatica ma anche le informative sull’impatto e sulla dipendenza delle aziende dalla Natura.

Per sviluppare prodotti e modelli di business adeguati alle esigenze future ed evitare lo spostamento dell’impatto, i brand del settore bellezza devono adottare una visione olistica e considerare molteplici impatti ambientali nella progettazione dei propri prodotti. Questo consentirà ai team di ricerca e sviluppo di produrre cosmetici più sostenibili e far progredire l’intero comparto.

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Tutto ciò che le imprese devono sapere sulla direttiva relativa alla rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD) dell’UE

EU’s Corporate Sustainability Reporting Directive - CSRD
EU’s Corporate Sustainability Reporting Directive - CSRD

Tutte le società quotate e le grandi società non quotate operanti in UE dovranno adottare la CSRD entro il 2029.

La rendicontazione ambientale, sociale e di governance (ESG) è fondamentale per mostrare l’impegno delle imprese verso la sostenibilità. E nel panorama aziendale odierno, è un imperativo strategico.  

Tuttavia, nella gran parte dei mercati vi sono pochi e disomogenei regolamenti che attuano metriche e metodologie standardizzate, e questo causa dati incoerenti che ostacolano la comparabilità tra imprese e settori. Senza principi di rendicontazione chiari, le imprese sono libere di evidenziare i propri punti di forza e minimizzare le proprie debolezze. Il risultato? Investitori poco informati e accuse di greenwashing, due fattori che sul lungo periodo raramente aiutano le imprese. 

L’Unione europea sta assumendo un ruolo guida per ovviare a queste carenze e codificare un principio che possa essere adottato in modo uniforme. Questo affinché le iniziative per la sostenibilità da parte delle imprese possano essere facilmente confrontate e le aziende che inseriscono fattori ESG tra i criteri di investimento siano in tal modo debitamente informate. Il 31 luglio 2023 la Commissione europea ha adottato i principi europei di rendicontazione di sostenibilità (European Sustainability Reporting Standards, ESRS) che dovranno essere utilizzati da tutte le società soggette alla direttiva relativa alla rendicontazione societaria di sostenibilità (CSRD).  

L’atto delegato pubblicato adotta la versione finale degli ESRS ed è integrato dagli Allegati I e II, i quali definiscono i principi di rendicontazione di sostenibilità che le imprese devono utilizzare in conformità alla CSRD.  

Cos’è la CSRD?

Nell’ambito del Green Deal europeo, la CSRD mira a valorizzare la rendicontazione di sostenibilità e la trasparenza vincolando le imprese a utilizzare principi comuni che semplifichino la valutazione del rendimento delle proprie performance di sostenibilità da parte di investitori, organizzazioni della società civile, consumatori e altri stakeholder. La direttiva impone a tutte le grandi imprese e società quotate, ad eccezione delle microimprese quotate, la comunicazione delle informazioni sui rischi e le opportunità per la propria impresa derivanti da problemi sociali e ambientali e sull’impatto delle proprie attività su persone e ambiente.  

Le informazioni devono essere comunicate nel rispetto degli ESRS, che sono stati adottati dalla Commissione attraverso atti delegati mirati a definirne il contenuto e, ove possibile, la struttura per la presentazione delle informazioni. L’atto delegato relativo agli ESRS sarà trasmesso al Parlamento e al Consiglio dell’Unione europea per un periodo di controllo di due mesi, e l’implementazione per alcune imprese è prevista per l’esercizio finanziario 2024. 

La CSRD sostituisce e si basa sulla direttiva relativa alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario (Non-Financial Reporting Directive, NFRD) esistente, per rafforzare e semplificare i requisiti di rendicontazione di sostenibilità. La NFRD difettava di importanti dettagli per investitori e stakeholder, pertanto rendeva difficoltoso il confronto fra resoconti aziendali e creava incertezza sulla loro affidabilità ed efficacia. Per dare credibilità al settore degli investimenti verdi, gli investitori necessitano di informazioni affidabili sull’impatto ambientale delle imprese (e sulle loro strategie per ridurre questo impatto in futuro), al fine di indirizzare i fondi in modo adeguato verso iniziative correlate alla sostenibilità.  

L’estensione dell’ambito di applicazione della CSRD rispetto alla NFRD ha lo scopo di ridurre il greenwashing delle imprese, nonché comunicare in modo completo e concordato le tematiche ESG. La CSRD mette inoltre sullo stesso livello rendicontazione di sostenibilità e rendicontazione finanziaria, con la richiesta che le informazioni sui rischi per la sostenibilità siano più facilmente fruibili dal pubblico.  

Cosa impone la CSRD? 

La finalità principale della CSRD è fornire agli stakeholder interessati, compresi investitori, consumatori e decisori politici, informazioni di carattere non finanziario confrontabili per valutare i rischi aziendali relativi al cambiamento climatico e altre questioni ESG. Poiché le imprese dovranno redigere le rendicontazioni attenendosi a un quadro comune, gli stakeholder avranno accesso a informazioni più chiare, confrontabili e affidabili.

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Le imprese dovranno innanzitutto comunicare un quadro generale della propria struttura legale e strategica per poi approfondire il loro percorso di sostenibilità. Tuttavia, alcune tematiche ESG sono più rilevanti per alcune imprese e settori rispetto ad altre. Nel determinare le tematiche ESG che le imprese dovranno rendicontare, gli ESRS adottano una prospettiva di “doppia materialità”. Le rendicontazioni devono includere anche le strategie aziendali di mitigazione e adattamento ai rischi ESG, a seconda dei risultati della valutazione della doppia materialità.  

Le informazioni segnalate devono includere prospettive a breve, medio e lungo termine, ove possibile. La rendicontazione deve essere integrata nell’ambito di un rapporto di gestione aziendale anziché essere pubblicata come relazione annuale separata e deve essere in formato digitale standardizzato, in modo che possa essere facilmente confrontata con quella di altre imprese.

Cos’è la doppia materialità?

La CSRD sottolinea l’approccio della doppia materialità come fase cruciale per la conformità e impone alle imprese di eseguire una valutazione che consideri sia l’impatto concreto delle attività dell’impresa sulla società e sull’ambiente sia il modo in cui le questioni ESG incidono materialmente sull’impresa.  

A seconda dei risultati della valutazione della materialità di un’impresa, la rendicondazione ai sensi della CSRD dovrà includere una serie di questioni ambientali oltre al clima, tra le quali inquinamento, acqua, biodiversità e uso delle risorse naturali, nonché temi sociali e di governance. 

Termini chiave

​Doppia materialità → ​Approccio che comprende sia il modo in cui le questioni in materia di sostenibilità creano rischi e opportunità finanziarie per un’impresa (materialità finanziaria) sia l’impatto dell’impresa su persone e ambiente (materialità dell’impatto). 

​Materialità finanziaria → Una questione di sostenibilità ha un impatto o, presumibilmente, potrebbe avere un impatto (positivo o negativo) su un modello aziendale, sul flusso di cassa, sul valore dei ricavi o sul valore dell’impresa. 

Materialità dell’impatto → Un’attività aziendale ha un impatto effettivo o potenziale (positivo o negativo) sulle persone o sull’ambiente nel breve, medio e lungo termine.  

Mitigazione e adattamento

Oltre alla doppia materialità, le imprese devono comunicare le proprie strategie di mitigazione e adattamento ai rischi correlati alla sostenibilità. Le imprese dovranno descrivere il proprio modello e la propria strategia aziendale, un calendario delle iniziative di sostenibilità, governance, impatti, rischi e KPI. Queste informazioni consentiranno a investitori e altri stakeholder rilevanti di tenere traccia dei progressi delle iniziative in materia di sostenibilità societaria. 

Rendicontazione ai sensi della CSRD 

La CSRD prevede che le informazioni sulla sostenibilità siano subordinate ad attestazione della conformità. I revisori legali delle imprese saranno obbligati a eseguire un’attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità in collaborazione con un altro revisore o una società di revisione contabile indipendente. Le relazioni dei revisori devono essere integrate nella rendicontazione dell’impresa e allinearsi ad altre iniziative di normazione globali, come il regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR) e il regolamento sulla tassonomia dell’UE. 

Non sono ancora disponibili informazioni su modalità e tempistiche con cui la Commissione europea comminerà sanzioni alle imprese che non rispettano la CSRD. Si presume, tuttavia, che saranno ingenti. 

I principi di rendicontazione sono 12 e riguardano l’intera gamma delle questioni di sostenibilità, in linea con la proposta del Gruppo consultivo europeo sull’informativa finanziaria (European Financial Reporting Advisory Group, EFRAG): 

Gruppo  Numero  Tema 
Trasversale  ESRS 1  Prescrizioni generali 
Trasversale  ESRS 2  Informazioni generali 
Ambientale  ESRS E1  Cambiamenti climatici 
Ambientale  ESRS E2  Inquinamento 
Ambientale  ESRS E3  Acque e risorse marine 
Ambientale  ESRS E4  Biodiversità ed ecosistemi 
Ambientale  ESRS E5  Uso delle risorse ed economia circolare 
Sociale  ESRS S1  Forza lavoro propria 
Sociale  ESRS S2  Lavoratori nella catena del valore 
Sociale  ESRS S3  Comunità interessate 
Sociale  ESRS S4  Consumatori e utilizzatori finali 
Governance  ESRS G1  Condotta delle imprese 

L’ESRS 1 (“Prescrizioni generali”) definisce principi generali da applicare per la rendicontazione, ma non stabilisce requisiti di comunicazione specifici. L’ESRS 2 (“Informazioni generali”) stabilisce le informazioni di base che devono essere fornite a prescindere dal tema della sostenibilità oggetto di considerazione. L’ESRS 2 è inoltre obbligatorio per tutte le imprese ai sensi della CSRD. 

Tutti gli altri principi e i singoli obblighi di comunicazione (compresi gli elementi d’informazione in essi contenuti) sono soggetti a una valutazione della materialità. Le imprese dovranno riportare solo le informazioni rilevanti e potranno omettere le informazioni non rilevanti per il proprio modello aziendale e attività. 

Quali imprese saranno interessate dalla CSRD e quando? 

La CSRD si applicherà alle aziende quotate con sede nell’UE, insieme a tutte le realtà non quotate con sede nell’UE considerate “grandi”. Ovvero che hanno più di 250 dipendenti, un fatturato annuo di oltre 50 milioni di euro e/o un bilancio di oltre 25 milioni di euro.

Sono circa 50 000 le società quotate che dovranno conformarsi alla CSRD, sebbene l’implementazione iniziale preveda esenzioni. Tutte le società quotate che operano in UE dovranno adottare la CSRD entro il 2029. 

Le imprese dovranno iniziare a eseguire la rendicontazione ai sensi degli ESRS secondo la seguente tempistica:

csrd timeline

Esercizio finanziario 2024 → Le imprese soggette in precedenza alla NFRD (grandi società quotate, grandi banche e grosse compagnie assicurative con più di 500 dipendenti) nonché grandi società quotate non-UE con più di 500 dipendenti avranno l’obbligo di rendicontazione nell’esercizio finanziario 2024, con la pubblicazione della prima dichiarazione di sostenibilità nel 2025. 

Esercizio finanziario 2025 → Altre grandi imprese, comprese altre grandi società quotate non-UE, avranno l’obbligo di rendicontazione nell’esercizio finanziario 2025, con la pubblicazione della prima dichiarazione di sostenibilità nel 2026. 

Esercizio finanziario 2026 → Le PMI quotate, comprese PMI quotate non-UE, avranno l’obbligo di rendicontazione nell’esercizio finanziario 2026, con la pubblicazione della prima dichiarazione di sostenibilità nel 2027.  Tuttavia, le PMI quotate possono decidere di non sottostare ai requisiti di rendicontazione per altri due anni. L’ultima data utile per iniziare la rendicontazione per una PMI quotata è l’esercizio finanziario 2028, con la pubblicazione della prima dichiarazione di sostenibilità nel 2029. 

Esercizio finanziario 2028 → Inoltre, le imprese non UE con un fatturato superiore a 150 mio. di euro all’anno in UE e che hanno  

(a) una succursale con un fatturato superiore a 40 mio. di euro 

(b) una filiale che è una grande impresa  

(c) una PMI quotata 

in UE avranno l’obbligo di rendicontare l’impatto sulla sostenibilità a livello di gruppo di detta impresa non-UE a partire dall’esercizio finanziario 2028, con la pubblicazione di una prima dichiarazione di sostenibilità nel 2029. Principi separati saranno adottati specificamente per questo caso. 

Oltre la CSRD 

Sebbene la CSRD sia stata adottata dalla Commissione europea, avrà implicazioni a livello globale. Tutte le società quotate che operano in UE, anche con sede centrale al di fuori dell’UE, dovranno conformarsi alla CSRD, fattore che segna l’inizio della globalizzazione in fatto di rendicontazione di sostenibilità. 

Molti altri Paesi hanno in programma l’elaborazione di regolamenti in linea con la CSRD o all’altezza delle sue ambizioni. Il Regno Unito, ad esempio, sta progettando la creazione di standard relativi all’informativa sulla sostenibilità (SDS) per la rendicontazione societaria sui rischi correlati alla sostenibilità, ponendo le basi per una legislazione futura sui temi della sostenibilità. Anche la Svizzera ha annunciato programmi per valutare l’allineamento alla CSRD. L’obiettivo finale è avere un quadro globale standardizzato per la rendicontazione di sostenibilità. 

Cosa possono fare le imprese per prepararsi? 

Sono previste cinque fasi che ogni impresa deve intraprendere per prepararsi alla CSRD: 

Fase 1: sapere se e quando l’impresa deve conformarsi. Prima di fare programmi, occorre sapere se la propria impresa rientra nell’ambito della CSRD. In caso affermativo, è importante sapere in quale ambito specifico si rientra per potere stabilire con precisione la tabella di marcia. 

Fase 2: esaminare la propria governance in materia di sostenibilità societaria o i ruoli e le responsabilità riguardanti la rendicontazione e comunicazione della CSRD nella propria organizzazione. Chi è responsabile? Chi deve essere coinvolto nella catena del valore? Che tipo di formazione e coinvolgimento è necessario? 

Fase 3: iniziare ad affrontare la doppia materialità e a coinvolgere gli stakeholder interessati.  Una valutazione della materialità può catturare varie prospettive sull’ESG e fornire informazioni importanti per impostare la rotta e stabilire dove può essere necessario un investimento futuro. La doppia materialità della CSRD (impatto finanziario e impatti ambientali e sociali) determina un raggruppamento di matrici delle tematiche ESG che le imprese possono utilizzare per verificare la conformità oppure garantire la trasformazione sostenibile. 

Fase 4: individuare le lacune nei sistemi di raccolta e gestione dei dati. Cosa è attualmente oggetto di rendicontazione? Cosa non è attualmente oggetto di rendicontazione? Confrontare l’attuale quadro di sostenibilità (se presente) con i requisiti della CSRD e degli ESRS. Gli ESRS sono un quadro basato su altri quadri (GRI, TCFD, tassonomia dell’UE, ecc.); quindi se l’impresa sta già svolgendo le rendicontazioni non finanziarie sulla base di tali regolamentazioni, l’analisi delle lacune sarà più semplice. 

Fase 5: identificare potenziali effetti finanziari, rischi di transizione e opportunità legate al clima. Se da un lato, ad esempio, la divulgazione dei dati sul cambiamento climatico non è obbligatoria, dall’altro è fortemente raccomandata. Se un’impresa decide che il cambiamento climatico non è un aspetto fondamentale e non redige alcun resoconto a riguardo, deve motivare questa decisione in modo dettagliato in base alla valutazione della materialità. Poiché il cambiamento climatico ha conseguenze sistemiche ad ampio raggio sull’economia, le imprese devono rendicontare le emissioni e gli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra (GHG) degli ambiti 1, 2 e 3.  Se attualmente l’impresa non ha obiettivi di riduzione, sarà necessario comunicare quando questi programmi saranno elaborati.  

È fondamentale non sottovalutare il lavoro da svolgere per conformarsi agli ESRS e iniziare a prepararsi ora per consentire all’impresa di avere successo con investitori, consumatori e i quadri normativi pertinenti. 

Serve aiuto per esplorare la CSRD o i cinque principi ambientali? Contattate il nostro team! 

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Agricoltura rigenerativa: il futuro dell’agricoltura per sistemi alimentari e territoriali più sostenibili ed equi

agriculture
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Con l’adozione di un approccio integrato, l’agricoltura rigenerativa offre uno strumento per affrontare gli impatti e i rischi ambientali che influenzano molteplici planetary boundaries.

In breve:

  • L’agricoltura convenzionale è un fattore chiave della crisi ambientale e allo stesso tempo dipende in maniera preponderante dalle risorse naturali e dai servizi ecosistemici attualmente a rischio.
  • L’agricoltura rigenerativa è definita come un approccio olistico e integrato alla produzione di alimenti, in grado di produrre risultati positivi dimostrati a lungo termine su molteplici indicatori sociali, ambientali e finanziari.
  • L’agricoltura rigenerativa offre l’opportunità di attuare la decarbonizzazione e affrontare gli impatti e i rischi ambientali che interessano molteplici planetary boundaries, contribuendo a gettare le basi per un futuro resiliente dalle risorse limitate.
  • Le aziende che sostengono l’agricoltura rigenerativa dovranno valutare ogni contesto specifico per sviluppare una strategia che non solo affronti i vari impatti ambientali, come le emissioni di gas serra, il consumo di acqua e la perdita di biodiversità, ma che individui anche le priorità essenziali per ogni coltura e regione.
  • Le strategie di agricoltura rigenerativa messe in atto dalle aziende avranno successo se saranno incentrate sugli agricoltori.

Essendo il settore tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico e che sfrutta più acqua a livello mondiale, nonché la principale causa del degrado dell’ecosistema globale e della perdita di biodiversità, l’agricoltura rappresenta un fattore chiave della crisi ambientale. 

Purtroppo, però, è anche l’ambito che ha più da perdere da questa situazione. 

Le aziende che includono agricoltura e uso del suolo nella loro supply chain stanno già sperimentando gli effetti di un clima che cambia. Temperature da record, uragani, incendi, inondazioni e altri eventi atmosferici stanno alterando la produttività dei terreni e la disponibilità di alcune colture, oltre a rendere il lavoro agricolo, già rischioso di per sé, ancora più pericoloso per i lavoratori. 

Ma il clima non costituisce l’unica minaccia ambientale per i nostri sistemi agricoli. Occorre tenere conto di altri fattori come lo stato di salute del suolo, il consumo idrico e l’inquinamento. 

Molte aziende hanno già stabilito strategie e obiettivi climatici, ma per ridurre al minimo l’esposizione ai rischi legati alla natura e salvaguardare le loro attività e i loro dipendenti di fronte a un futuro incerto, devono intensificare il loro impegno e intraprendere un’azione olistica.

L’agricoltura rigenerativa è l’approccio olistico e integrato alla coltivazione di cui le aziende hanno bisogno per affrontare molteplici rischi ambientali e sociali e superare le sfide della supply chain, riducendo al minimo i compromessi.

L’agricoltura rigenerativa

Coniato originariamente negli anni ’80 da Robert Rodale, il termine agricoltura rigenerativa designa le tradizioni agricole consolidate basate sulle conoscenze e sull’esperienza plurigenerazionale delle popolazioni indigene e dei coltivatori di tutto il mondo. 

Vi è una generale mancanza di consenso nell’industria alimentare e agricola sulla definizione del termine “agricoltura rigenerativa”. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che questa non è un concetto immutabile, ma continua a evolversi tramite l’incontro tra le vecchie tecniche agricole e le innovazioni moderne, offrendo un’ampia serie di possibilità che consente agli agricoltori e alle imprese di adattarsi alle realtà tecniche ed economiche delle loro aziende e/o filiere. 

In generale, le definizioni di agricoltura rigenerativa si basano su pratiche (ad esempio senza lavorazione/a lavorazione ridotta del suolo (no/low till), colture di copertura, compost), principi (come la riduzione della perturbazione del suolo, mantenimento della copertura del suolo, mantenimento delle radici viventi, incremento della diversità vegetale e integrazione di bestiame) e risultati (ad esempio salute del terreno, qualità dell’acqua e biodiversità). È opportuno sottolineare che i pionieri di questo settore spesso considerano l’agricoltura rigenerativa non solo come un insieme di pratiche o principi, ma soprattutto come un mindset trasformativo che evidenzia un approccio olistico e sostenibile che abbraccia tutte le loro attività lavorative.

Sebbene i principi dell’agricoltura rigenerativa siano utili nell’orientamento di strategie sviluppate con gli agricoltori, le aziende dovrebbero adottare una definizione di agricoltura rigenerativa che enfatizzi un approccio olistico alla coltivazione con risultati positivi in relazione a più indicatori sociali e ambientali. Prendere in considerazione più indicatori all’interno dei confini del nostro ecosistema permetterà all’agricoltura rigenerativa di fungere da approccio essenziale per ripristinare la salute del pianeta e invertire gli effetti negativi legati all’agricoltura convenzionale.

Un approccio integrato per risolvere un problema complesso

Il contributo dell’agricoltura al cambiamento climatico è ormai ampiamente riconosciuto (l’IPCC stima che il 23% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica derivi dall’agricoltura, dalla silvicoltura e da altri usi del suolo che vanno anche al di là delle infrastrutture agricole). E il numero crescente di prove che evidenziano i rischi comportati dalla crisi climatica alla produttività ha spronato le aziende agroalimentari ad agire. La riduzione delle emissioni rappresenta un passo (necessario) nella giusta direzione, ma un errore ricorrente che le aziende commettono nei loro sforzi contro la crisi climatica è quello di concentrarsi esclusivamente sulle emissioni di gas a effetto serra. Di conseguenza, vengono trascurati altri importanti fattori d’impatto ambientale e rischi legati alla natura.

Gli effetti dei sistemi alimentari e territoriali convenzionali vanno ben oltre il clima. La produzione agricola di tipo convenzionale ha svolto un ruolo importante nel superamento di almeno altri quattro planetary boundaries: il cambiamento del sistema territoriale, l’uso dell’acqua dolce (acqua verde), i flussi biogeochimici e l’integrità della biosfera.

L’agricoltura è una delle cause principali del superamento di diversi planetary boundaries, in quanto costituisce…

Tutto ciò lascia presagire grossi problemi per le aziende agroalimentari. I sistemi terrestri sono interconnessi con dinamiche mutali, per cui ciò che influisce su uno di essi può influire anche sugli altri. Il degrado del suolo, la perdita di biodiversità e i cambiamenti del ciclo dell’acqua, ad esempio, aggravano la crisi climatica e contemporaneamente ne sono intensificati. Limitarsi a una prospettiva basata alla sola quantificazione delle emissioni di gas a effetto serra, non solo compromette la capacità di un’azienda di affrontare efficacemente la crisi climatica, ma aumenta anche la sua esposizione ai rischi fisici e di transizione. I sistemi di produzione agroalimentare e di utilizzo territoriale generano di per sé ogni anno costi ambientali, sanitari e socio-economici latenti per circa 12.000 miliardi di dollari, una cifra che supera di gran lunga il valore della produzione globale del sistema.

Le aziende agroalimentari devono considerare dunque il quadro generale per ridurre efficacemente l’impatto ambientale, attenuare i rischi legati alla natura e adattarsi a un mondo che cambia. Mediante l’adozione di un approccio integrato, l’agricoltura rigenerativa offre uno strumento con cui affrontare gli impatti e i rischi ambientali che interessano diversi planetary boundaries e sviluppare resilienza in un futuro dalle risorse limitate. Ad esempio, è stato dimostrato che l’attuazione del principio della diversificazione “[migliora] la biodiversità, l’impollinazione, la lotta antiparassitaria, il ciclo dei nutrienti, la fertilità del suolo e la regolazione delle acque senza compromettere la resa.”

L’adozione di un approccio multicriterio può sembrare dispendiosa in termini di risorse e di tempo. Tuttavia, le valutazioni preliminari volte a determinare il grado di rilevanza delle problematiche per un determinato sistema (ad esempio, l’acqua nelle regioni soggette a siccità o il cambiamento di destinazione d’uso dei terreni nelle regioni a disboscamento intensivo) e l’utilizzo delle risorse esistenti per ottenere una visione d’insieme più chiara possono consentire una prioritizzazione strategica a breve termine tra gli indicatori. Non limitando la prospettiva alle emissioni di carbonio, le aziende potranno destinare i mezzi disponibili alla tutela e al ripristino delle risorse naturali più importanti per ogni segmento della supply chain.

Mantenere i soggetti più vulnerabili al centro della propria strategia

La scelta di un approccio top-down nella promozione dell’agricoltura rigenerativa può rallentarne l’effettiva attuazione e portare a un uso non oculato delle risorse. I coltivatori e le comunità rurali devono essere al centro della strategia aziendale basata sull’agricoltura rigenerativa.

I coltivatori sono preoccupati per i rischi di perdite a breve termine e di crescente incertezza finanziaria che potrebbero sorgere nella fase di transizione dalle pratiche convenzionali a metodi rigenerativi. Le aziende hanno dunque la possibilità irrinunciabile di fornire sostegno finanziario agli agricoltori, così da contribuire a mitigare o condividere l’onere di tale rischio, senza rinunciare all’’inestimabile conoscenza che gli agricoltori hanno delle loro terre, che spesso sono tramandate di generazione in generazione con il relativo bagaglio di competenze settoriali.  Le strategie sviluppate in maniera congiunta a livello di azienda agricola stabiliranno partnership durature lungo tutta la supply chain, volte a mitigare o distribuire tali rischi per trasformare con successo un sistema agricolo dal basso verso l’alto.  

Le aziende dovranno adottare accordi di partnership innovativi capaci di sfidare i contratti a breve termine e le supply chain non tracciabili. E questo non solo per sostenere la transizione, ma anche per incoraggiare gli agricoltori nella ricerca continua delle soluzioni migliori per la loro azienda agricola e la rigenerazione delle risorse naturali. Per dare più sicurezza in questa fase di transizione, il sostegno finanziario deve essere integrato da formazione ed esempi locali, per dare fiducia ai coltivatori nella fase di transizione verso un’agricoltura rigenerativa. Le aziende hanno la possibilità di incrementare la partecipazione dei coltivatori agevolando il tutoraggio da agricoltore ad agricoltore e sfruttando sia la scienza che le conoscenze autoctone e locali per sviluppare linee guida e una formazione adeguata. 

Le aziende dovrebbero inoltre esplorare in maniera più approfondita per identificare le le comunità maggiormente vulnerabili ed emarginate all’interno delle supply chain (ad esempio le comunità rurali che vivono in una situazione climatica instabile in cui la temperatura media annua non rientra nell’intervallo compreso tra 11 e 15 °C circa della nicchia ambientale umana, i piccoli agricoltori azionisti, i lavoratori agricoli e coloro che sono storicamente emarginati dal punto di vista razziale). Una recente pubblicazione basata sul quadro dei planetary boundaries volta a riconoscere i limiti sicuri e giusti per il nostro sistema Terra ha rilevato l’esigenza di stabilire confini ancora più severi per ridurre al minimo i danni significativi per gli esseri umani, considerando le generazioni attuali e future in diversi Paesi e comunità. 

La trasformazione delle supply chain in catene inclusive e sostenibili da un punto di vista ambientale richiederà tempo a causa dei cambiamenti comportamentali e culturali che essa comporta, ma è essenziale per il successo a lungo termine dell’industria agroalimentare e delle comunità che la sostengono.

Finanziare la transizione: un solido business case oltre che un imperativo logistico

Naturalmente, per una transizione dalle aziende agricole convenzionali a pratiche rigenerative occorrono fondi, e i costi iniziali necessari a finanziare la conversione possono rappresentare un ostacolo per i coltivatori, molti dei quali si trovano già ad affrontare difficoltà economiche. Per garantire l’adozione diffusa dell’agricoltura rigenerativa, le aziende svolgono un ruolo fondamentale nel finanziamento di questa transizione. E le motivazioni economiche ci sono eccome: secondo una recente analisi di BCG, le aziende che applicano l’agricoltura rigenerativa potrebbero ottenere “una redditività superiore pari a un valore compreso tra il 70% e il 120%, nonché un utile sul capitale investito tra il 15% e il 25% nell’arco di 10 anni”.*

Inoltre, una volta consolidata, l’agricoltura rigenerativa richiede interventi di sostegno molto meno onerosi. Ad esempio, i suoi effetti positivi sulla biodiversità sono fondamentali per il controllo dei parassiti e per l’impollinazione, con un conseguente incremento nel volume dei raccolti e una riduzione delle spese legate ai pesticidi. Attività come le colture di copertura e la rotazione colturale possono ripristinare la salute del suolo, richiedendo meno adeguamenti e un minor impiego di fertilizzanti e ammendanti. 

Le colture di copertura possono anche contribuire a ottimizzare il consumo idrico, riducendo la temperatura del suolo e diminuendo l’evaporazione. Inoltre, un suolo più sano e pacciamato è in grado di trattenere più acqua. Le pratiche rigenerative possono quindi salvaguardare i coltivatori dall’aumento dei costi idrici, in particolare nelle aree carenti d’acqua a causa della siccità e della perdita di falde acquifere

Inoltre, i consumatori stanno acquisendo sempre maggiore consapevolezza sull’impatto ambientale dei loro acquisti. Numerosi studi hanno rilevato che i consumatori cercano prodotti più sostenibili. Se saranno in grado di illustrare con precisione e chiarezza i loro meriti ambientali, le aziende potranno trarre grandi vantaggi da questo tipo di trasparenza. 

Allineare il business all’agricoltura rigenerativa

1. Costruire e sviluppare la strategia partendo da una base solida

Si consiglia di partire dall’identificazione dei principali punti critici, stilando un inventario dei gas serra abbinato a una valutazione dei rischi e dell’impatto sulla natura. Con queste informazioni, le aziende dovrebbero poi iniziare a coinvolgere i partner della propria catena del valore per raccogliere dati specifici sulle forniture, dando priorità ai prodotti, acquisti e materiali che hanno il maggiore impatto. Le valutazioni multi-indicatore a livello di azienda agricola offrono l’opportunità di confrontarsi con i fornitori in merito alle sfide e alle opportunità specifiche dei loro sistemi agricoli, del clima locale e del territorio per ridurre gli impatti. Ma anche di capire quali indicatori vengono già misurati in quella zona, così da informare chi si occupa di gestire le operazioni agricole. Man mano che le aziende tracciano i progressi compiuti nel corso degli anni, dovrebbero continuare ad ampliare la loro base di riferimento, ottimizzando ulteriormente gli indicatori misurati e monitorati in base alla rilevanza per la coltura o la regione, come ad esempio l’impatto idrico.

2. Definire obiettivi di miglioramento della catena del valore   

Oltre a capire meglio le fonti di impatto, le aziende dovrebbero definire gli obiettivi di riduzione degli effetti ambientali e continuare a svilupparli mano a mano che l’impatto viene aggiornato. La guideline per i settori che si basano su foreste, terreni e agricoltura (Forest, Land and Agriculture Guidance) della Science Based Target initiative (SBTi) supporta nella definizione degli obiettivi climatici quelle aziende le cui catene del valore dipendono in larga misura dall’agricoltura. Analogamente, il Science Based Targets for Nature (SBTN) è lo standard usato per misurare l’azione aziendale in relazione ai confini planetari al di là dell’impronta di carbonio. Quando un’azienda si batte per questi obiettivi all’interno della catena del valore, acquisisce un’ulteriore opportunità per capire quali sono i rischi e gli ostacoli che impediscono ai suoi partner della supply chain di raggiungere questi traguardi e quali risorse possono servire per mitigare i rischi. 

3. Trasformare la propria catena del valore per facilitare l’adozione dell’agricoltura rigenerativa 

Gli sforzi messi in campo per misurare l’impatto e definire gli obiettivi ambientali consentono alle aziende di stabilire i canali di comunicazione necessari per sviluppare una strategia congiunta con i partner della catena del valore. Stabilire degli obiettivi non è sufficiente per realizzare una trasformazione sostenibile. Le aziende devono investire in strategie di intervento specifiche al contesto delle aree chiave di approvvigionamento. 

Avvicinarsi ai coltivatori, ai fornitori e agli altri stakeholder su tutta la supply chain riconoscendoli come partner determinanti nel processo di trasformazione stimolerà un impegno più produttivo, il quale a sua volta condurrà con più probabilità a risultati positivi.Le aziende potrebbero espandere strategicamente le loro operazioni commerciali per consentire questo livello di impegno nella catena di approvvigionamento. Ciò comprende investimenti nella ricerca e nella creazione di gruppi di lavoro multidisciplinari che includano scienziati, coltivatori e membri delle comunità interessate, al fine di rivalutare modelli di business che giustifichino i costi di transizione. Le aziende dovrebbero inoltre realizzare campagne di marketing credibili, così da generare una domanda di prodotti più sostenibili.

 Un trionfo per l’umanità, il pianeta e l’economia

Se applicata in modo ponderato, l’agricoltura rigenerativa può portare benefici a tutti gli aspetti della “triple bottom line”. Che la si consideri una prassi o una mentalità, essa non solo offre un enorme potenziale per affrontare le molteplici sfide ambientali nell’interazione tra i nostri sistemi agricoli e la Natura, ma può anche rafforzare la resilienza della supply chain, fungere da efficace pratica di sostenibilità sociale, ridurre i costi a lungo termine e fornire un vantaggio competitivo cruciale.

*Nota: i risultati possono variare a seconda delle colture e delle regioni. 

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Una solida cultura della sostenibilità in 5 step

organizational culture
organizational culture

Una solida cultura della sostenibilità crea i presupposti per la trasformazione.

Questo è il secondo di due articoli facenti parte di una serie che esplora il ruolo della cultura organizzativa nel determinare il successo o il fallimento delle ambizioni di sostenibilità in ambito aziendale. Il primo articolo è disponibile qui.

In breve:

  • Le aziende che costruiscono una solida cultura della sostenibilità creano ambienti favorevoli a una trasformazione verso un business più sostenibile, dotandosi quindi di tutti gli strumenti necessari per mantenere i propri impegni in questo ambito.
  • Molte aziende si concentrano quasi esclusivamente sulla raccolta e sull’analisi dei dati e trascurano il ruolo della cultura organizzativa, che invece può costituire un incentivo efficace al cambiamento.
  • Trasformare la cultura di un’azienda è un compito notoriamente complesso. Le aziende denotano una certa ritrosia e spesso reagiscono troppo lentamente al cambiamento, per non parlare della mancanza di indicazioni concrete per stabilire una solida cultura della sostenibilità.
  • Per rendere la sostenibilità un pilastro portante della cultura aziendale, le organizzazioni devono affrontare cinque aspetti di fondamentale importanza: strategia, struttura, processi, persone e reward.
  • I dirigenti avranno il compito di creare una nuova vision per il futuro, effettuare una valutazione onesta della situazione attuale, predisporre le capacità interne, rimuovere gli ostacoli nonché premiare ed elogiare i comportamenti corretti.

Integrare la sostenibilità nella cultura organizzativa di un’azienda costituisce un prerequisito essenziale per avviare un processo di trasformazione. Spesso, però, ne viene trascurato il potenziale come catalizzatore del cambiamento. 

La cultura non gode dello stesso potere e della stessa popolarità attribuiti ai dati, che sono invece ammantati da un’idea di innovazione e progresso. Questi ultimi sono infatti elementi concreti, che esercitano grande fascino su noi esseri umani, istintivamente attratti da tutto ciò che è concretezza e certezza. Sarà forse anche questo il motivo che spinge molte aziende a investire una quantità enorme di tempo e risorse per colmare le lacune nei dati, anche in presenza di informazioni sufficienti per tracciare un percorso chiaro. La cultura, al contrario, ha un carattere intangibile costituito da convinzioni, comportamenti e valori. 

Rivoluzionare anche in senso migliorativo, nella direzione della sostenibilità, la cultura di un’azienda costituisce un compito notoriamente complesso. Le organizzazioni denotano forte resistenza e spesso reagiscono troppo lentamente al cambiamento. Talvolta, culture aziendali appaiono inadatte già dai loro principi cardine a diventare solide culture della sostenibilità. Un’ulteriore aggravante a queste sfide è la mancanza di un quadro o di linee guida chiari per la creazione di una solida cultura della sostenibilità in grado di sostenere (e rafforzare) i modelli aziendali sostenibili. Il concetto di cultura della sostenibilità è, dopo tutto, ancora relativamente recente.

Una soluzione potrebbe essere tuttavia il modello a stella [figura 1], un quadro teorico di riferimento ideato dall’ormai defunto Jay Galbraith, fra i maggiori esperti mondiali di progettazione organizzativa.

galbraith's star model
Figure 1

Il modello a stella: un quadro di riferimento per la progettazione organizzativa in materia di sostenibilità

Il modello a stella di Galbraith traccia i cinque elementi ritenuti essenziali per cambiare la cultura di un’organizzazione: strategia, struttura, processi, persone e reward. Studi recenti dimostrano che il modello può essere utilizzato per aiutare le aziende a incorporare la sostenibilità nella loro cultura organizzativa, soprattutto se ampliato per includere i collegamenti esterni (i diversi attori esterni all’azienda che hanno un impatto sul valore economico, sociale e ambientale che un’azienda crea per le persone e il pianeta) [figura 2].

framework for building a culture of sustainability
Figure 2

Strategia: determinare gli obiettivi e come raggiungerli

La strategia è il motore del vostro modello di business e ne determina la direzione, specificando tutto ciò che si vuole raggiungere (obiettivi, finalità e traguardi) e le modalità che si vogliono adottare (valori, scopo e mission). Ma ovviamente, per determinare gli elementi necessari per raggiungere i vostri obiettivi, dovete per prima cosa effettuare una valutazione onesta della situazione attuale. 

La strategia rappresenta infatti il cuore pulsante del modello a stella, poiché determina criteri utili per scendere a compromessi e per avallare opzioni alternative negli altri elementi della progettazione organizzativa. Per plasmare una solida cultura della sostenibilità, quest’ultima deve costituire un fondamento portante della vostra strategia e non può essere rilegata a funzione corollaria.

Struttura: determinare il potere decisionale e la sfera d’influenza

La struttura determina il livello del processo decisionale all’interno della gerarchia della vostra organizzazione e stabilisce i centri di responsabilità per le diverse attività e i diversi obiettivi. 

La promozione della sostenibilità deve essere condivisa da tutti i livelli dell’azienda, assegnando il centro di responsabilità generale al livello esecutivo. Solo in questo modo, infatti, sarà possibile garantire che la sostenibilità diventi un aspetto fondamentale per i diversi ruoli all’interno di un’organizzazione. I ruoli e le responsabilità di ogni reparto e funzione devono essere definiti chiaramente e di ampia comprensione. Ogni membro del team deve essere in grado di rispondere alla domanda: “In che modo posso contribuire agli obiettivi e alla visione di sostenibilità?”. 

Per un’organizzazione all’insegna della sostenibilità è quindi necessario istituire connessioni interfunzionali e reti di creazione del valore.

Processi: modalità di condivisione e comunicazione delle informazioni

Se la struttura equivale all’anatomia di un’organizzazione, i processi ne costituiscono la sua fisiologia. Questo elemento, infatti, fa riferimento alle modalità di funzionamento all’interno di una realtà aziendale, ad esempio il processo di raccolta dei dati necessari per i rapporti di sostenibilità oppure le modalità di distribuzione dei fondi ai progetti di efficienza energetica o ai programmi di coinvolgimento dei fornitori. 

In assenza di processi funzionanti, per le persone risulta difficile accedere alle informazioni necessarie per prendere le decisioni giuste, ad esempio per evidenziare le inefficienze e chiudere i loop di risorse. Un processo iterativo che identifichi i modi per migliorare continuamente le performance di sostenibilità costituisce la chiave di volta per una trasformazione aziendale.

Premi: incoraggiare i comportamenti che desiderate vedere con maggiore frequenza

Premiare collaboratrici e collaboratori per il loro comportamento e le loro azioni può contribuire ad allineare gli obiettivi individuali a quelli aziendali. Le persone devono imparare a pensare e a prendere decisioni con un approccio diverso, incorporando la sostenibilità nella loro quotidianità lavorativa. A livello dirigenziale, un impatto positivo può essere generato da bonus executive legati ai KPI di sostenibilità.

Su altri livelli, invece, le persone devono poter percepire concretamente il loro contributo alla causa generale. Tom Bateman, professore di management presso la McIntire School of Commerce dell’Università della Virginia, afferma: “[Le persone] hanno bisogno di conoscenze, informazioni, competenze e potere per compiere le scelte giuste”.

Persone: le persone giuste adottano i comportamenti giusti

Non sottovalutate mai il potere delle risorse umane in quanto motore propulsore della trasformazione aziendale. Se la vostra organizzazione è composta da persone che comprendono appieno il vostro scopo, i vostri valori e la vostra missione e che vogliono contribuire in maniera significativa, potete dare un forte slancio alle vostre performance di sostenibilità. Assunzioni intelligenti o attività di onboarding mirate, formazione, implementazione pratica e coinvolgimento adeguate costituiscono uno strumento efficace per garantire che il personale disponga delle giuste competenze e conoscenze per assumere il ruolo di agenti di promozione del cambiamento.

Tuttavia, non si tratta solo di poter fare affidamento sui giusti collaboratori interni. Tutti gli stakeholder, dai fornitori ai distributori, dagli investitori alle ONG, devono essere in linea con la vostra strategia.

5 step per sviluppare una solida cultura della sostenibilità

Nonostante la maggior parte dei CEO convenga sulla funzione essenziale che la sostenibilità ricopre per il futuro della propria azienda, molti fanno fatica a incorporarla nell’operatività quotidiana.

Il modello a stella individua sì gli elementi fondamentali per trasformare la cultura organizzativa, ma non fornisce un “manuale d’istruzioni” per inglobare concretamente la sostenibilità nella strategia aziendale, nella sua struttura, nei processi e così via. 

Per rendere più intelligibile il processo, abbiamo delineato le cinque fasi fondamentali che adottiamo con i clienti per aiutarli a plasmare una cultura in grado di guidare la trasformazione sostenibile.

Step 1: creare una nuova visione per il futuro.

Senza una meta concreta in mente è impossibile tracciare un percorso chiaro. È proprio questo il ruolo della vision. 

Ma la vision attuale della vostra azienda non è in grado di produrre i risultati che desiderate. Il suo scopo è stato definito per aspirazioni diverse. Nuove ambizioni richiedono una nuova vision. Pertanto, è necessario fare un passo indietro per riconsiderarne la definizione.   

Il primo punto all’ordine del giorno: un esercizio di visioning. Vi basterà riunire intorno a un tavolo tutte le persone giuste o, prima ancora, individuarle se non sapete ancora chi sono. Fate un po’ di “introspezione organizzativa” per rispondere a queste domande essenziali:

  • Chi siamo come organizzazione? Qual è il nostro scopo?
  • Qual è la nostra mentalità e il nostro comportamento?
  • In che modo le persone descriverebbero il nostro gruppo?
  • Siamo ciò che vogliamo essere? Condivido tutti questi aspetti come individuo? 
  • Immaginando il futuro dell’azienda in cui lavoriamo, come vogliamo che sia tra 2, 5 o addirittura 10 anni? 
  • Quale narrativa dovrà rappresentarci in futuro? In che modo cambierà rispetto alla nostra situazione attuale?
  • Perché dobbiamo abbracciare il cambiamento? A quali conseguenze andiamo incontro se non lo facciamo? 
  • Quali sono i principi alla base di questa vision? 
  • Possiamo contare sul pieno sostegno dell’esecutivo per realizzare questa vision?

Step 2: creare standard di riferimento per la propria cultura aziendale.

Determinate in che modo la sostenibilità è attualmente “vissuta” all’interno della vostra organizzazione. Effettuate un assessment tra pari in termini di percezione della posizione dell’organizzazione in materia di sostenibilità ed estendete le vostre considerazioni all’intero settore. Cercate di comprendere se la sostenibilità sia percepita come un elemento critico per il successo dell’organizzazione, soprattutto per i lavoratori che operano al di fuori delle funzioni di sostenibilità. Quest’ultimi hanno la percezione di contribuire agli obiettivi di sostenibilità dell’organizzazione? 

Ma soprattutto: siate realistici. Fate attenzione al divario che intercorre tra la descrizione ufficiale della vostra cultura e la realtà dei fatti. Prestate particolare attenzione alla “cultura profonda” rispetto alla “cultura di superficie”. L’insidia sta nei dettagli del “come funzionano le cose qui”. 

Facendovi un’idea della mentalità della vostra organizzazione, sarete in grado di valutare meglio il potenziale di adesione, partecipazione e sostegno di cui avete bisogno per realizzare la vostra vision. 

Step 3: elaborare un piano d’azione.

Dopo aver definito la vision e aver eseguito tutte le verifiche diagnostiche necessarie, è ora il momento di tracciare un percorso realistico tenendo conto di questi fattori culturali. 

  • Chi deve partecipare maggiormente al programma?
  • Quali sono le azioni e le misure da intraprendere?
  • Quando si svolgerà ogni attività?
  • In che modo raggiungeremo i nostri obiettivi? 
  • Perché è importante? 

Sviluppate le capacità e create uno spazio all’interno dell’organizzazione per concentrarsi e integrare la sostenibilità nei ruoli e negli ambiti di responsabilità della maggior parte, se non addirittura di tutto il vostro personale. 

Adottare un approccio inclusivo e contribuire a creare opportunità per tutti i soggetti dell’organizzazione affinché essi possano svolgere un ruolo nel raggiungimento degli obiettivi è cruciale. Coinvolgere tutti vi permetterà di generare entusiasmo, essenziale per alimentare risultati positivi. 

Il fulcro di questo entusiasmo è certamente il “perché”. Adottate un linguaggio trasparente, senza retorica, e raccontate la verità che rispecchia la vostra organizzazione senza mezzi termini. Un esempio:

“L’anno scorso l’impronta di carbonio della società XYZ ammontava a X. Dobbiamo ridurla a Y non solo per il bene del pianeta, ma anche per mostrare alla nostra clientela un progresso reale e concreto. Se riusciamo a raggiungere questo obiettivo, creeremo fiducia nei consumatori a beneficio del nostro marchio”.

Coinvolgere tutti vi permetterà di generare entusiasmo, essenziale per alimentare risultati positivi.

Step 4: eliminare gli ostacoli e creare campioni.

Valutate la consapevolezza, le conoscenze e le competenze del vostro personale per determinare le lacune che possono ostacolarne l’allineamento agli obiettivi di sostenibilità. Determinate la capacità della vostra organizzazione di rendere operative e di costruire misure di governance per realizzare i vostri obiettivi di sostenibilità. 

Il vostro personale non può raggiungere obiettivi che non comprende appieno. 

Inoltre, ponetevi le domande più difficili: quali elementi della nostra organizzazione rappresentano un ostacolo? Le risposte possono includere una serie di fattori: risorse, tempo, consapevolezza, conoscenza, adesione a livello dirigenziale, obiettivi poco chiari o vaghi. Se le risposte non vi convincono, riflettete su ciò che in passato ha decretato il fallimento di altre iniziative promosse dall’organizzazione. 

Infine, partendo dal presupposto che sono le persone a mettere in moto il cambiamento, determinate chi sono i “custodi” dell’organizzazione o le persone chiave di cui avrete bisogno per sostenere e guidare i vostri sforzi a tutti i livelli dell’organizzazione. La promozione in tal senso rappresenta un potente ingrediente nella ricetta per il successo. In particolare, i dirigenti hanno un ruolo importante da svolgere. Se essi, in primo luogo, fanno della sostenibilità una priorità e adottano scelte per conciliare le attività operative con il rispetto dell’ambiente, inviano al resto dell’organizzazione un chiaro messaggio su ciò che è veramente importante.

Step 5: favorire il rinforzo positivo e i momenti di insegnamento.

Per promuovere il cambiamento in maniera proattiva, la compartecipazione di tutte le persone alla base del funzionamento di un’organizzazione, ognuna con i suoi compiti e le sue attività quotidiane, è essenziale. Inoltre, è importante essere realistici: senza incentivi, non potete aspettarvi che investano tutto il loro impegno nella causa. 

I premi non devono tuttavia essere necessariamente di natura monetaria o materiale. La mancanza di incoraggiamento e di riconoscimento trasmette il messaggio implicito che il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità non rappresenta una vera priorità al pari delle altre attività aziendali. Sebbene sia facile concentrarsi sugli obiettivi aziendali standard, è necessario comunicare i benefici del vostro programma di sostenibilità per l’organizzazione e discuterne apertamente. Inoltre, i traguardi che contribuiscono al raggiungimento di questo obiettivo non devono passare inosservati o ricevere una ricompensa di entità minore

Un’altra considerazione importante riguarda i comportamenti contrari ai risultati desiderati, ad esempio decisioni di viaggio discutibili come la scelta dell’aereo al posto del treno per viaggi di breve distanza. Prendete ad esempio quest’occasione per organizzare un momento di insegnamento, in cui spiegate in che modo questa decisione si inserisce nel quadro generale. Così facendo farete passare il messaggio che fate sul serio. 

Per riassumere: se il vostro programma di sostenibilità è percepito come un’attività extracurricolare, è improbabile che riesca a esprimere tutto il suo potenziale.

Sebbene gli argomenti trattati in questo articolo possano sembrare frutto del buon senso, è sempre meglio essere chiari e non lasciare nulla al caso. La vostra cultura può essere potente ed efficace, ma siete solamente voi e le vostre decisioni strategiche a decretarne il successo o il fallimento. Le culture aziendali non cambiano dall’oggi al domani, né possono essere facilmente manipolate per imporre il cambiamento. Ci saranno sempre delle sorprese dietro l’angolo, ma per citare Shakespeare, “Soprattutto tieni questo in mente: sii sempre fedele a te stesso”. 

Se conoscete la vostra cultura, saprete come orientarvi per raggiungere la vostra destinazione. E, alla fine dei conti, i benefici potrebbero essere inestimabili.

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Una nuova narrazione: migliorare la comunicazione per consolidare anziché ostacolare la fiducia dei consumatori

Diviene sempre più evidente che per preservare la propria base di clienti è necessario conquistarne e consolidarne la fiducia, nonché la loro fedeltà verso il brand.

In breve:

  • Sebbene consumatrici e consumatori affermino di voler scegliere marchi sostenibili e di aspettarsi dai brand che acquistano una condivisione della propria base di valori, si mostrano sempre più diffidenti verso gli slogan di sostenibilità delle grandi aziende.
  • Il marketing funnel tradizionale si è evoluto in qualcosa di ben più dinamico e ora richiede un coinvolgimento costante tra brand e consumatori, anche dopo il momento dell’acquisto, al fine di conquistarne la fiducia.
  • Le imprese confidano sul fatto che i propri prodotti siano poi utilizzati dai consumatori in un’ottica di sostenibilità, così da garantire il minimo impatto possibile sull’ambiente. E la comunicazione a riguardo svolge un ruolo importante nel veicolare un cambio di atteggiamento tra i consumatori.
  • Per sviluppare fiducia è fondamentale che le imprese riescano a convogliare il proprio pubblico target lungo l’intero percorso di sostenibilità dell’azienda, sia attraverso l’informazione che mostrando un coinvolgimento costante.

Da diversi anni ci troviamo ormai in ciò che si può descrivere come l’“era della diffidenza”. Come reazione alla diffusa disinformazione e alla carenza di informazioni trasparenti riguardo alla sostenibilità, la gente è sempre più sospettosa rispetto alle notizie che riceve. Atteggiamento sospettoso che si riflette poi sui brand scelti dai consumatori. Per ovviare a questo mutato atteggiamento, le imprese devono guardare oltre le tradizionali strategie di marketing e comunicazione che in passato hanno fornito risultati così soddisfacenti per le proprie iniziative sostenibili, per riuscire così ad allinearsi davvero con il sentimento dei consumatori.

Un recente studio dell’Harvard Business Review ha rivelato che il 65% dei partecipanti vorrebbe acquistare prodotti di brand più sostenibili, ma solo il 26% lo fa davvero. Difficilmente alla base di tale comportamento contraddittorio vi è una ragione qualsiasi, il fattore più probabile sembra essere proprio la sfiducia dei consumatori. 

Si tratta di un ostacolo importante per le imprese, sia per l’avanzamento dei propri programmi di sostenibilità, sia per la brand strategy. A fronte di un incremento della consapevolezza circa la sostenibilità, crescono anche le aspettative della clientela. Il mancato progresso a livello di quadro generale, unito a casi di greenwashing ad alto livello, culmina in un sentimento dominante che non vede soddisfatte tali aspettative. 

Per compiere dei passi in avanti rispetto ai propri target di sostenibilità e superare il dilagante cinismo, i brand devono comprendere l’importante ruolo che gioca la fiducia dei consumatori, capire ciò con cui si stanno scontrando e individuare i passi da compiere per coinvolgere al meglio il proprio mercato di riferimento.

Perché la fiducia dei consumatori è così importante?

Creare fiducia tra i propri consumatori offre svariati vantaggi. In ultima analisi, non si tratta solo di un appello etico all’azione, ma “makes business sense”. Stando a un recente studio condotto con IA svolto dal BCG Henderson Institute, “le 100 imprese che godono di maggiore fiducia hanno generato un valore 2,5 volte maggiore rispetto ad aziende analoghe alla fine del 2021.”  Le stesse aziende si sono distinte per multipli prezzo/utile maggiori del 47%.

Concentrandoci più nello specifico sulla fiducia dei consumatori, la fiducia verso i valori o il brand di un’azienda rappresenta una delle principali considerazioni di acquisto. I consumatori credono sia importante potersi fidare dei brand che acquistano, e in tale contesto l’impatto ambientale del marchio riveste un ruolo significativo nel generare (o compromettere) tale fiducia. 

Nell’Edelman Trust Barometer del 2022 il 52% dei partecipanti ha affermato di ritenere che le aziende non facciano abbastanza per contrastare i cambiamenti climatici e di aspettarsi da loro un intervento più concreto. In definitiva, le aziende non possono aspettarsi di vendere o progredire nei propri obiettivi senza conquistare la fiducia dei consumatori.

Tutto ciò evidenzia un cambiamento generale nel marketing funnel. Mentre prima si seguiva un modello lineare (consapevolezza, interesse, considerazione, valutazione, acquisto), ora ci si trova di fronte a un processo molto più dinamico. Le azioni di marketing con maggior successo ora guardano al marketing funnel come a un ciclo in cui è indispensabile mantenere il contatto con i potenziali clienti, divenuti ormai acquirenti, e proseguire il journey anche oltre il momento della decisione d’acquisto. Secondo Edelman, i consumatori ora si aspettano un coinvolgimento tangibile con i brand che acquistano, che si tratti di interagire tramite social media, della possibilità di fornire feedback o della partecipazione attiva a iniziative del marchio. Anche nel punto vendita. 

Oggi è sempre più evidente che per preservare la propria base di clienti è necessario iniziare a conquistarne e consolidarne la fiducia e la fedeltà.

Le persone vedono nei brand da cui acquistano un’estensione di se stessi o l’espressione della propria personalità. I consumatori scelgono sempre più di acquistare da aziende che ritengono condividere i loro valori. Vogliono che i marchi a cui si affidano incarnino le loro convinzioni, ma gli slogan di sostenibilità dei brand si scontrano con un crescente cinismo. I consumatori credono che le imprese che non si esprimono a livello di sostenibilità non stiano facendo nulla o, peggio, stiano nascondendo il proprio impatto ambientale negativo. 

Tuttavia, mentre molti consumatori si aspettano dalle imprese che agiscano in maniera più sostenibile, molti non adottano pratiche sostenibili in prima persona. In base a come usano un determinato prodotto, i consumatori svolgono un ruolo rilevante nel promuovere il percorso di sostenibilità delle aziende; le imprese fanno dunque affidamento sul fatto che i propri consumatori si accostino ai prodotti in maniera sostenibile durante la fase d’uso, così da generare il massimo impatto.  

Si tratta di un’opportunità per le aziende, che possono così trasformare la propria strategia di comunicazione in ambito di sostenibilità per creare più connessioni con i consumatori e stimolare comportamenti più sostenibili. Una buona strategia di comunicazione non solo consente di raggiungere gli obiettivi appena descritti, ma anche di distinguersi dalla concorrenza.

Cosa genera e alimenta la sfiducia, e cosa fanno le aziende per contrastare questo fenomeno?

Sebbene da un lato l’interesse per prodotti sostenibili sia sempre più marcato tra i consumatori, un recente rapporto di Compare Ethics ha mostrato che solo “un consumatore su cinque si fida degli slogan di sostenibilità dei brand.” Questo sentimento può essere il prodotto di dilagante ambiguità e scarsa informazione sulla sostenibilità da parte delle aziende. Nella valutazione degli slogan, la chiave è il contesto. 

Al posto di affermazioni singole e isolate, che possono fornire elementi di comparazione ma non creano alcun legame tra il brand e il consumatore, occorre sfruttare i dati come elementi di prova che rimandino agli standard e alle ambizioni generali di sostenibilità dell’azienda. Serve una narrazione chiara riguardo ai parametri ambientali e prove sufficienti a corroborare gli slogan dell’azienda. Ad esempio, riportare sull’etichetta del prodotto un valore di emissione di CO2 pari a 1,5 chilogrammi non rivestirà un grande significato per i consumatori, dal momento che è un dato isolato. Il valore di 1,5 chilogrammi è un buon risultato, è pessimo o intermedio? 

D’altro canto è importante che le informazioni rilevanti a livello di sostenibilità siano rese sufficientemente semplici da risultare comprensibili per il pubblico. La sovrabbondanza di certificazioni, etichette e slogan di sostenibilità può creare confusione tra i consumatori. In alcuni Paesi il quadro normativo ha cercato di risolvere i problemi di comunicazione sulla sostenibilità, ma senza una cornice comune per confrontare i prodotti o fornire ulteriore contesto, ad esempio un codice QR o link per scoprire maggiori informazioni sull’impatto ambientale dei singoli prodotti. I consumatori si ritrovano quindi a non poter nemmeno sviluppare una comprensione di base reale della comunicazione sulla sostenibilità dell’azienda.

Cosa significa “buono”?

Per sviluppare fiducia tra i consumatori, è fondamentale far sì che la clientela condivida l’intero percorso di sostenibilità dell’azienda tramite l’informazione e un coinvolgimento costante. La popolazione necessita di informazioni base sulla sostenibilità: spetta alle aziende fornire il contesto necessario sul perché il proprio prodotto sia la scelta col minor impatto sull’ambiente. Aumentare la consapevolezza e l’informazione sulla sostenibilità apre le porte alla fiducia dei consumatori e, sul lungo termine, può anche veicolare quel cambio di atteggiamento necessario per adottare decisioni con un impatto minore sull’ambiente e per utilizzare i prodotti in maniera più sostenibile.

Solo perché vi è maggiore consapevolezza tra i consumatori e più attenzione rispetto alle iniziative di sostenibilità del brand non significa tuttavia che l’azienda debba introdurre immediatamente dei messaggi di sostenibilità (in particolare se non ha ancora intrapreso nulla a riguardo). Una tale scelta potrebbe configurarsi (o essere interpretata come) greenwashing, che mette a rischio il brand e la reputazione dell’azienda.

Ciò non significa tuttavia che le imprese non debbano comunicare affatto. I brand devono essere quanto più trasparenti e precisi riguardo alle proprie iniziative di sostenibilità in qualsiasi fase si trovino del proprio percorso trasformativo. A fronte di un crescente scrutinio da parte dei media e dei consumatori, molte imprese credono erroneamente che la scelta più sicura sia non fare alcuna affermazione, una prassi chiamata “greenhushing”. Di fronte alle crescenti aspettative dei consumatori, con buona probabilità questa scelta si ritorcerà contro l’azienda che non intraprende alcun tipo di azione, o che semplicemente non mostra interesse per l’argomento. Il greenhushing si ripercuote anche sull’intero settore, dal momento che tenere nascosti gli avanzamenti e limitare la trasparenza sulle azioni di sostenibilità può influenzare i competitor spingendoli a non impegnarsi. Per creare consapevolezza e fiducia riguardo alla sostenibilità aziendale, le imprese devono quindi trovare il giusto equilibrio tra non dire a sufficienza e dire troppo.

La comunicazione di sostenibilità non segue lo stesso percorso della tipica comunicazione di marketing. La sostenibilità è un argomento relativamente nuovo per molte aziende, e quasi tutti partono da un livello sub-ottimale. I consumatori vogliono poter vedere l’impegno profuso per promuovere gli obiettivi sostenibili aziendali, non solo il risultato finale. Diversamente dalla comunicazione tradizionale, la comunicazione sulla sostenibilità è fatta di verifiche dei progressi, più che di semplice promozione dei traguardi e dei successi. 

E i consumatori non sono l’unico pubblico da coinvolgere lungo il percorso. Ad un certo livello, tutti nell’organizzazione aziendale sono brand ambassador. Integrare internamente una comunicazione solida sulle proprie azioni di sostenibilità e spiegarne il significato al di là delle regole sulla differenziata nella sala ristoro può contribuire ampiamente a sottolineare il messaggio. Assicuratevi che tutti internamente abbiano ben chiari sia il quadro generale sia il ruolo che ciascuno può svolgere entro la strategia di sostenibilità, e che sappiano parlare correttamente dell’argomento. 

Sicuramente tale approccio è ideale se applicato alle funzioni di marketing e comunicazione, ma può essere valido anche per i supply chain manager, per il settore del procurement e per le vendite. Assicuratevi che i vostri team si impegnino per il giusto messaggio a ogni livello di competenza e di funzione, così che il loro ruolo di brand ambassador non avveleni inavvertitamente il rapporto con la base di clienti. 

Ecco cosa possono fare i brand per costruire (o ricostruire) la fiducia dei consumatori

Uno studio di Zeno Group ha rivelato che i consumatori si fidano 4,1 volte di più dei brand con finalità concrete e che sono 4,5 volte più propensi a promuoverli. Creare una strategia di comunicazione vincente circa le attività di sostenibilità dell’azienda è un fattore chiave per il coinvolgimento dei consumatori e per far nascere in loro la fiducia auspicata. Che si tratti di sviluppare una nuova strategia o adattare quella già in essere, vi sono alcuni passaggi condivisi che la vostra impresa può intraprendere per implementare la miglior prassi comunicativa in fatto di sostenibilità.

  1. Integrate la vostra strategia di comunicazione sulla sostenibilità nella prassi aziendale globale. Siate autentici e onesti con i vostri consumatori quando si tratta di comunicare le vostre iniziative di sostenibilità: la comunicazione deve essere interconnessa con l’essenza del vostro brand e con la vostra mission. 
  2. Concentratevi sull’impatto. Le storie migliori sono storie concrete: comunicate le azioni che porteranno ai risultati. Tutto ciò che fate e che comunicate deve superare lo scrutinio del pubblico (con risultati deboli se la vostra azienda non ha già implementato una strategia di sostenibilità ben strutturata). 
  3. Create una comunicazione trasparente, autentica e facile da comprendere. Ci vuole coraggio ad ammettere che la propria azienda non è perfetta, ma è importante mostrarsi onesti verso gli stakeholder riguardo ai propri progressi in fatto di sostenibilità. Se le imprese si mostrano aperte e oneste circa le proprie vulnerabilità, menzionando l’impatto e le azioni per contrastare i cambiamenti climatici, i consumatori tenderanno a fidarsi maggiormente di loro giudicandole più interessanti. Produrre una comunicazione schietta, quindi, aiuta i consumatori, consentendo loro di concentrarsi sulla scelta dell’opzione meno impattante e di operare decisioni più sostenibili nella fase di utilizzo dei prodotti.
  4. Create solide conoscenze sulla sostenibilità per i vostri consumatori. Sfruttate la comunicazione per informare il vostro pubblico target circa il suo ruolo nel percorso di sostenibilità della vostra impresa e assicuratevi che tali informazioni siano facilmente accessibili. La sostenibilità in fase di utilizzo del prodotto può risultare altrettanto importante quanto la produzione, pertanto è fondamentale conquistare la fiducia dei consumatori per influenzare in positivo le loro abitudini di sostenibilità.
  5. Assicuratevi che i vostri team interni siano adeguatamente formati in fatto di sostenibilità. Ciascun team deve comprendere il proprio ruolo nel contribuire agli obiettivi di sostenibilità della vostra azienda e sapere in che modo comunicare sull’argomento nel contesto in cui operano. Tale aspetto risulta particolarmente importante soprattutto per i team di marketing, per evitare di finire inavvertitamente nella trappola del greenwashing. Tra gli ulteriori vantaggi che derivano da tale approccio vi sono un miglioramento nell’acquisizione e nella retention dei talenti, dal momento che i giovani si mostrano più interessati a lavorare per società con solidi impegni ESG e dai forti valori. Secondo GreenBiz, un terzo dei giovani tra i 18 e 24 anni ha rifiutato offerte di lavoro da imprese con risultati ESG non proprio ideali.
  6. Favorite un coinvolgimento costante tra i vostri consumatori. Accompagnate la clientela lungo il vostro percorso di sostenibilità e informatela circa l’impatto ambientale dei vostri prodotti. Rientra in questa sfera tutto ciò che ha a che fare col prodotto, dai processi di produzione alle modalità di utilizzo da parte dei consumatori, fino a un suo smaltimento responsabile. La costanza è la base della fiducia.
  7. Misurate la fiducia dei consumatori e siate pronti ad affinare e trasformare la vostra strategia. I trend di mercato sono in costante evoluzione e la vostra impresa deve sapersi adattare con flessibilità agli interessi e alle esigenze dei consumatori. Tenendo costantemente monitorati i dati di settore e misurando la fiducia dei consumatori, potrete quindi delineare i progressi che state compiendo lungo il vostro percorso di comunicazione di sostenibilità.

Il modo in cui comunicate la vostra strategia di sostenibilità può determinare o compromettere il vostro successo nel raggiungere gli obiettivi prefissati. La comunicazione diviene un passo fondamentale verso la trasformazione ad azienda sostenibile e, se implementata correttamente, conquisterà la fiducia dei consumatori come di tutti gli stakeholder, quali gli investitori o i dipendenti.

In ultima analisi, la vostra strategia di comunicazione della sostenibilità deve essere stimolante, autentica e fedele al vostro brand, quindi un’evoluzione della vostra attuale strategia comunicativa. Le due devono divenire un tutt’uno. Ciò contribuirà a dimostrare ai consumatori che per l’azienda la strategia di sostenibilità è una priorità inderogabile, e non un orpello per compiacere la clientela o gli stakeholder. Inoltre, se saprete far spazio a onestà e vulnerabilità circa i vostri progressi, i consumatori saranno maggiormente propensi ad assumere il proprio ruolo all’interno della vostra strategia di sostenibilità. Creare fiducia nei consumatori non solo vi avvicinerà ulteriormente ai vostri obiettivi di sostenibilità, ma migliorerà anche la vostra performance aziendale globale, dal momento che la fiducia nel brand genera fedeltà e, di riflesso, brand advocacy, vero e proprio Sacro Graal degli esperti di marketing.

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Degrado del suolo + desertificazione: non affrontare i rischi legati alla Natura lascerà le imprese a bocca asciutta

desertificazione e degrado del suolo
desertificazione e degrado del suolo

Interruzioni nella supply chain, perdita di capitale e aumento delle spese operative. Sono solo alcune delle possibili ricadute che la perpetuazione degli attuali modelli di uso del suolo potrebbe avere sulle imprese.

In breve:

  • alle aziende serve che il suolo sia produttivo, ma le attività umane e la crisi climatica stanno degradando il terreno e provocando siccità a livelli senza precedenti, compromettendone la capacità di sostenere le colture, il bestiame e la fauna selvatica, nonché di fornire quei preziosi servizi ecosistemici su cui le imprese fanno affidamento.

  • Il degrado del suolo ha conseguenze disastrose per le imprese di tutti i settori, in tutte le fasi della catena del valore, e mette a repentaglio il loro valore economico. Ogni anno si registrano perdite di servizi ecosistemici pari a 20.000 miliardi di dollari a causa dei cambiamenti di destinazione nell’uso del suolo e perdite pari a 11.000 miliardi di dollari a causa del suo degrado.

  • Degrado del suolo e desertificazione generano rischi fisici, normativi, legali, di reputazione e di mercato per le aziende, anche per quelle la cui interdipendenza dal suolo è meno esplicita. Se gli attuali modelli di uso del suolo continueranno a perpetuarsi, le perdite di capitale, l’aumento delle spese operative e i danni al marchio saranno solo alcune delle conseguenze con cui le aziende dovranno fare i conti.

  • Il degrado del suolo e i suoi effetti a cascata sugli altri sistemi terrestri possono anche impedire alle imprese di progredire verso gli obiettivi legati a biodiversità, clima e acqua.

  • Per guidare la transizione nell’uso del suolo, le aziende devono: 1) valutare e comprendere il proprio impatto e le proprie interdipendenze; 2) definire strategie ambientali integrate; 3) collaborare con i vari attori lungo l’intera catena del valore per promuovere pratiche di uso sostenibile del suolo e 4) sostenere gli sforzi politici e normativi.

La desertificazione è spesso considerata un problema che riguarda in primis le aree desertiche, sebbene sia in realtà una crisi invisibile con una portata più ampia di quanto la maggior parte delle aziende creda, che ha conseguenze molto significative per le imprese e la stabilità della global economy nel suo complesso.

Alle aziende serve un suolo produttivo.

Le attività umane (non ultime le pratiche non sostenibili di gestione del suolo) e la crisi climatica, tuttavia, stanno provocando desertificazione, degrado del suolo e siccità a livelli ineguagliati, compromettendo così la capacità del terreno di sostenere le colture, il bestiame e la fauna selvatica, nonché di fornire quei preziosi servizi ecosistemici su cui le persone (e le imprese) fanno affidamento.

Contrastare il degrado del suolo è fondamentale per la continuità del business, eppure numerose organizzazioni si stanno incamminando in una direzione del tutto sbagliata.

Il degrado del suolo aggrava, ed è incrementato da, altre sfide ambientali, tra cui la perdita di biodiversità, la scarsità idrica e la crisi climatica. Numerose aziende, non riconoscendo con chiarezza i nessi reciproci fra questi punti chiavei, adottano un approccio “a compartimenti stagni” per risolverli.

Il degrado del suolo, nondimeno, è una questione che coinvolge trasversalmente più ambiti e pertanto per contrastarlo le aziende devono adottare un approccio integrato basato sul concetto di planetary boundaries.

A seguire vedremo nel dettaglio che cosa siano esattamente il degrado del suolo e la desertificazione, in che misura siano causati e inaspriscano altre sfide ambientali, quale impatto abbiano sulle aziende e come queste possono agire per salvaguardare il proprio futuro.

Cosa sono desertificazione e degrado del suolo

La desertificazione è una tipologia di degrado del suolo tipica delle zone in cui l’acqua scarseggia, che riduce la produttività biologica dei terreni fertili e, di conseguenza, anche la loro produttività economica. Questo tipo di degrado contempla un decremento qualitativo del suolo, oltre ad un declino delle risorse idriche, della vegetazione e di una vasta gamma di organismi (inclusi quelli responsabili dei servizi ecosistemici del suolo).  

Nonostante il fenomeno di degrado del suolo sia attestato in ogni parte del mondo, le zone aride, che costituiscono circa il 40% del suolo terrestre e ospitano il 38% della popolazione mondiale, sono particolarmente vulnerabili a questo problema a causa delle temperature e delle precipitazioni estremamente variabili, degli ecosistemi a bassa produttività e della scarsa fertilità del suolo.  

Definizioni

Degrado del suolo: la riduzione o la perdita della produttività biologica o economica del suolo, tra cui rientra la perdita di biodiversità e di funzioni/servizi ecosistemici dovuta a processi causati dall’uomo

Desertificazione: il degrado del suolo nelle zone aride causato dalle variazioni climatiche e dalle attività umane

Le modalità principali di degrado del suolo sono molteplici:

  • Declino della vegetazione
  • Salinizzazione
  • Acidificazione/decremento della fertilità
  • Perdita di nutrienti (ad esempio azoto, fosforo e potassio)
  • Compattazione del terreno
  • Erosione dovuta ad acqua e vento

Un problema sempre più diffuso

I concetti di degrado del suolo, desertificazione e siccità sono spesso associati ad aree geografiche come l’Africa subsahariana, sebbene questi problemi riguardino ogni angolo del pianeta, compresi la parte occidentale del Nord America, il Medio Oriente, l’Asia Centrale e l’Europa (Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Italia, Lettonia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria hanno indicato di essere tutti interessati dalla desertificazione). 

In totale, oltre il 75% del suolo terrestre è già in stato di degrado, compreso il 25-35% delle zone aride. Entro il 2050 questa percentuale potrebbe raggiungere il 90%, se non si adotteranno tempestivamente misure ambiziose.

Il degrado del suolo è determinato da fattori locali che possono variare da un’area geografica all’altra, ma le sue implicazioni (così come quelle della desertificazione) hanno una portata globale. La crisi climatica può amplificare gli effetti a livello locale e introdurre un’ulteriore degrado tramite eventi estremi (ad esempio variazioni nelle precipitazioni, siccità, incendi ecc.). Tuttavia, anche la desertificazione e il degrado del suolo influenzano a loro volta la crisi climatica, in quanto alterano le funzioni di regolazione e approvvigionamento degli ecosistemi per via del loro impatto su umidità superficiale (e sul ciclo dell’acqua nel suo complesso), copertura vegetale, aerosol di sabbia e polvere, oltre che sui flussi di gas serra. Diventando sempre più aridi, i terreni sono sempre meno in grado di trattenere l’anidride carbonica atmosferica e possono di conseguenza diventare fonte di gas serra, rilasciando CO2 e biossido di azoto (NO2) nell’atmosfera. Anche i fattori alla base del degrado (ad esempio deforestazione, pascoli intensivi, incendi ecc.) disperdono CO2 nell’atmosfera.

Cause principali

Le attività umane (gestione non sostenibile del suolo e delle risorse) e le variazioni climatiche sono le due cause principali del degrado del terreno e della desertificazione.  

Gestione non sostenibile del suolo e delle risorse

Le attività umane associate al degrado del terreno sono da ricondurre a pratiche non sostenibili di uso del suolo e di gestione delle risorse, spesso derivanti da più cause sottostanti, tra cui pressioni economiche, demografiche, tecnologiche, istituzionali e culturali.

Pratiche non sostenibili di uso del suolo e di gestione delle risorse collegate al degrado del terreno

  • Deforestazione
  • Conversione del suolo e rimozione della copertura vegetale naturale
  • Coltivazione intensiva
  • Pascolo intensivo
  • Uso eccessivo di input chimici (ad esempio fertilizzanti sintetici)
  • Utilizzo non sostenibile delle risorse idriche (ad esempio uso eccessivo e contaminazione)
  • Pratiche di irrigazione inadeguate
  • Incendi antropogenici
  • Urbanizzazione

Una delle sfide principali è rappresentata dal fatto queste pratiche sono profondamente radicate all’interno della supply chain. Le aziende con vari livelli di fornitura e un basso grado di tracciabilità potrebbero non essere nemmeno consapevoli dell’esistenza del degrado o di dove si stia verificando. Per affrontare il degrado del suolo (e gli effetti a esso riconducibili su acqua, biodiversità, clima ecc.) le aziende devono migliorare la tracciabilità della supply chain in modo da comprendere cosa accade a monte e da entrare in contatto e collaborare con i vari attori della supply chain per stimolare un cambiamento.   

Crisi climatica

La crisi climatica amplifica l’impatto delle cause dirette di degrado del suolo (ad esempio l’erosione del suolo dovuta a eventi meteorologici estremi, l’aumento del rischio di incendi boschivi e i cambiamenti nella distribuzione di specie invasive, parassiti e agenti patogeni) e può estendere le zone aride a rischio di desertificazione. Questi cambiamenti possono aggravare problemi sociali come povertà e migrazione forzata, che possono a loro volta portare a un ulteriore degrado del suolo.  

Degrado del suolo e desertificazione, crisi climatica e perdita di biodiversità sono inoltre collegati fra loro da cicli di retroazione. I cambiamenti nelle proprietà chimiche e idrologiche del suolo legati al degrado indotto dalla crisi climatica intensificano la perdita di biodiversità, sia in superficie che nel sottosuolo: un aspetto che a sua volta provoca ulteriori alterazioni della fertilità e dell’erosione del suolo che favoriscono la desertificazione.

collegamento fra degrado del suolo, crisi climatica e biodiversità

Affrontare il degrado del suolo e la desertificazione è un imperativo per le aziende.

Il degrado del suolo ha conseguenze disastrose per le imprese di tutti i settori, in tutte le fasi della filiera, e mette a repentaglio il loro valore economico. Tra il 1997 e il 2011, si sono registrate perdite di servizi ecosistemici pari a 20.000 miliardi di dollari all’anno a causa dei cambiamenti nell’uso del suolo e perdite pari a 11.000 miliardi di dollari a causa del degrado del suolo: un importo che corrisponde al triplo del valore globale di mercato dei prodotti agricoli.

Interruzioni nella supply chain, perdita di capitale e aumento delle spese operative: queste sono solo alcune delle possibili ricadute che la perpetuazione degli attuali modelli di uso del suolo potrebbe avere sulle imprese.

Degrado del suolo e desertificazione creano rischi per le aziende in tre modi: 

Dipendenze dalla Natura

In molti settori, la Natura è fondamentale per la continuità del business. Tutte le aziende dipendono in una certa misura dalla Natura, in termini di materie prime o servizi ecosistemici. I cambiamenti legati al degrado del suolo che interessano la chimica, la fertilità e l’idrologia dei terreni possono influire sui raccolti e sulla qualità delle colture, oltre a minacciare la disponibilità e la sicurezza a lungo termine dei prodotti. Il suolo e le condizioni locali possono diventare inadatti alla produzione. Le dipendenze variano a seconda del settore e il problema colpisce soprattutto le imprese che dipendono direttamente dal suolo per ottenere le risorse o i servizi ecosistemici necessari per le loro operazioni dirette e la loro supply chain. Tuttavia, le conseguenze possono essere significative anche per le imprese dei settori secondario e terziario, le cui dipendenze sono in apparenza meno esplicite.

  • Potenziali effetti: chiusura delle operazioni, disagi nella supply chain, perdita di capitale, aumento dei costi operativi, aumento dei costi di produzione, riduzione o interruzione della capacità produttiva, aumento dei premi assicurativi o riduzione della disponibilità di assicurazioni sui beni in luoghi ad alto rischio, disagi per le vendite

Impatto sulla Natura

Degrado del suolo e desertificazione stanno creando crescenti rischi per le aziende, dal punto di vista normativo, legale, della reputazione e del mercato. Dovendo districarsi fra la crescente domanda di beni prodotti in modo sostenibile da parte dei consumatori, le pressioni degli stakeholder e l’ondata di cambiamenti normativi, come il Regolamento UE sulla deforestazione, per le aziende la necessità di agire per ridurre l’impatto ambientale sulla Natura si fa sempre più impellente.

  • Potenziali effetti: multe e sanzioni, controversie legali, danni al marchio, aumento dei costi per la conformità, diminuzione del valore per gli azionisti, riduzione della domanda di prodotti e servizi

Effetti di degrado del suolo e desertificazione sulla società

Le aziende non sono le uniche a dipendere dalla Natura per ottenere risorse e servizi ecosistemici: acqua dolce, aria pulita, stabilità del clima e salute del suolo sono fondamentali per tutta la società. Di conseguenza, il degrado del suolo e il suo impatto su acqua, biodiversità, clima ecc. possono avere un effetto destabilizzante sulla società, con implicazioni per la salute (ad esempio inquinamento dell’aria, sicurezza alimentare, qualità dell’acqua ecc.), i mezzi di sostentamento, le relazioni commerciali e i conflitti geopolitici.

  • Potenziali effetti: disagi per la forza lavoro, conflitti, disuguaglianza di genere, aumento della povertà, migrazione forzata

Se non affronteranno il degrado del suolo, le aziende sono destinate a fallire sotto ogni aspetto. Eppure, le misure adottate finora dalle imprese si sono dimostrate insufficienti. Molte di esse non comprendono come i propri prodotti o le proprie modalità operative possano contribuire al degrado del suolo, né più in generale quale sia il legame fra business e crisi climatica, degrado del suolo, perdita di biodiversità e scarsità idrica.

Questa mancanza di consapevolezza impedisce loro di percepire il valore di una gestione sostenibile del suolo e l’opportunità di investire in essa. Tuttavia, i vantaggi offerti dall’investire negli sforzi di riduzione dell’impatto e delle dipendenze superano di gran lunga i costi della mancata adozione di contromisure. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione stima che per ogni dollaro speso per ripristinare il suolo degradato si ottengano vantaggi economici pari a 7-30 dollari.

Per le aziende è giunto il momento di guardare alle opportunità a lungo termine offerte dal mettere al primo posto la gestione sostenibile del suolo.

Soluzioni

  • Valutare e comprendere interdipendenze ed effetti non solo sul suolo, ma anche su acqua, biodiversità e servizi ecosistemici, per scoprire quali commodities dell’azienda presentano i rischi più elevati da un punto di vista ambientale: i risultati potrebbero essere sorprendenti. Molte imprese non comprendono il legame fra acqua e servizi ecosistemici; sono consapevoli di come utilizzano il suolo, ma non di come tali attività agiscano sul ciclo dell’acqua e sulla biodiversità. La Science Based Targets Network (SBTN) ha stilato nuove linee guida per aiutare le aziende a identificare le loro dipendenze principali e l’impatto delle loro attività sulla Natura, oltre che a mappare e dare priorità a rischi e opportunità.
  • Definire una strategia ambientale integrata e science-based target per gestire gli aspetti climatici (incluse le emissioni FLAG), la biodiversità, l’acqua dolce e l’uso del suolo riducendo al minimo i compromessi.  Queste sfide sono interconnesse e non possono essere affrontate con un approccio a compartimenti stagni: ciò che interessa l’una ha effetti anche sulle altre. Insieme, le aziende possono prendere decisioni basate su necessità ed efficacia, piuttosto che su percezioni soggettive, per accelerare il raggiungimento degli obiettivi e mitigare i rischi principali.
  • Stringere partnership con attori lungo tutta la catena del valore, per promuovere pratiche di gestione del suolo più sostenibili, in grado di evitare, ridurre e invertire il processo di degrado. Le aziende devono eliminare gli incentivi che promuovono il degrado, collaborando con le comunità locali e indigene per attuare iniziative di transizione nell’uso del suolo e salvaguardare i diritti su di esso.
  • Promuovere l’intervento mostrando sostegno alle iniziative politiche e alle normative governative che mirano a diffondere pratiche commerciali più sostenibili, richiedendo alle imprese di integrare il rispetto della Natura nei propri processi decisionali.

L’uso non sostenibile del suolo sta minacciando il futuro del pianeta, delle persone e dell’economia. Le aziende hanno la responsabilità e il legittimo interesse di contrastare il degrado del terreno, promuovendo la transizione verso un uso del suolo più sostenibile. 

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Cultura organizzativa: l’anello mancante che rompe o fa quadrare il cerchio delle aspirazioni di sostenibilità

organizational culture
organizational culture

Per rendere la sostenibilità parte integrante e componente intrinseca delle attività economiche, le aziende hanno il compito di integrare una maggiore apertura al cambiamento dal punto di vista della cultura organizzativa e delle strategie commerciali.

In breve:

  • Costruire una solida cultura della sostenibilità rappresenta un requisito essenziale per concretizzare una trasformazione verso un business più sostenibile e operare nel rispetto dei planetary boundaries.
  • Quando, come succede per molte aziende, la cultura organizzativa è tuttavia restia al cambiamento, le probabilità che gli sforzi intrapresi in ambito di sostenibilità siano efficaci o riescano a produrre miglioramenti decisivi diventano estremamente scarse. 
  • Creare resilienza per far fronte alla crisi ambientale significa abbracciare il cambiamento. Per rendere la sostenibilità uno dei pilastri centrali delle attività economiche, le aziende hanno il compito di integrare una maggiore apertura al cambiamento dal punto di vista della cultura organizzativa e delle strategie commerciali. 
  • Nel tentativo di promuovere cambiamenti concreti nella cultura aziendale, i dirigenti devono innanzitutto esaminare e definire la cultura esistente, riconoscendone i principali elementi responsabili del fallimento di iniziative orientate al cambiamento.
  • I vertici aziendali devono dimostrare che la sostenibilità ricopre un ruolo prioritario al pari del successo finanziario, dell’efficienza operativa, della salute, della sicurezza e di molti altri aspetti essenziali per l’azienda. E devono farlo con misure volte a diffondere gli obiettivi di sostenibilità su ampia scala e trasversalmente nell’intera organizzazione, offrendo corsi di formazione e perfezionamento, integrando la sostenibilità nel processo decisionale e assicurandosi che tutti i membri dell’organizzazione abbiano ben chiaro il contributo che possono apportare all’agenda di sostenibilità.

Questo è il primo di una serie di articoli che esplora il ruolo della cultura organizzativa nel determinare il successo o il fallimento delle ambizioni di sostenibilità in ambito aziendale.

Siamo ormai vicini alla resa dei conti: il termine per dimezzare le emissioni entro il 2030, infatti, diventa sempre più incombente e le aziende stanno accelerando il passo per limitare il riscaldamento globale a 1,5˚C. In molte, tuttavia, hanno ben presto realizzato che le strategie di sostenibilità e gli obiettivi basati sui dati scientifici, per quanto ambiziosi, da soli non bastano per mettere in atto un cambiamento significativo.

Investimenti insufficienti, organizzazione a compartimenti stagni, cultura del cambiamento a piccoli passi, eccessiva cautela, pratiche commerciali ormai datate e aspettative finanziarie pongono un freno rilevante alle aziende. Questi fattori sono tuttisintomatici di una cultura aziendale restia al cambiamento e costituiscono la prova tangibile che, quando si parla di trasformazione sostenibile, la cultura organizzativa ha un suo peso, tutt’altro che trascurabile. La cultura aziendale fornisce un esempio per i comportamenti, guida i processi e ha un grande impatto sulla motivazione dei dipendenti.

Se la cultura organizzativa su cui si basa la vostra azienda è in contrasto con gli obiettivi che state cercando di raggiungere, sarà impossibile realizzare i cambiamenti necessari per prepararla al futuro e operare nel rispetto dei planetary boundaries.

Cultura aziendale: un corso accelerato

La cultura è un motore talmente potente da rendere inermi anche i leader più capaci. In molti, spesso, la ignorano del tutto oppure la percepiscono come un fattore al di sopra del loro controllo, quindi da non considerare nelle loro attività quotidiane. Se i suoi aspetti negativi risultano notoriamente difficili da cambiare, quelli positivi sono invece terribilmente delicati. Ma di cosa stiamo parlando nel concreto?

La cultura organizzativa instaura e rafforza le aspettative nei confronti dei valori di un’azienda e fornisce un orientamento concreto per il suo operato. Inoltre, ne descrive le convinzioni, i valori, le aspettative e le norme di comportamento alla base degli orientamenti e degli obiettivi rilevanti per l’organizzazione.

Paragonata a un iceberg da Edward T. Hall nel noto esempio tratto dal suo libro Beyond Culture, la cultura organizzativa è composta da un livello visibile e da un sostrato invisibile. Basta una ricerca, neanche troppo approfondita, per trovare centinaia e centinaia di esempi sulla falsariga di questo modello. In sostanza, essa è il risultato di una componente immediatamente osservabile (la cultura superficiale) e di una componente più interna (la cultura profonda).

Cultura superficiale (10%): politiche, procedure documentate, codice di abbigliamento, espressione del marchio, struttura organizzativa, benefit, tecnologie, organizzazione dell’ufficio ecc.

Cultura profonda (90%): equilibrio tra lavoro e vita privata, risposta al cambiamento, esperienza di assunzione, avversione al rischio, esperienza per le donne e le persone di colore, pregiudizi culturali, comunicazione (formale/informale e terminologia condivisa), livelli di autonomia, feedback e tutta una serie di altre “convenzioni non scritte”

Non è difficile intuire che la cultura superficiale è anche la componente più incline al cambiamento, che nella maggior parte dei casi risulta semplice e non comporta particolari lungaggini. Cambiare la cultura profonda, invece, è tutto un altro paio di maniche. Può trattarsi infatti di un processo arduo e complesso. 

Considerate ad esempio un processo di riorganizzazione in cui la persona interessata, che ha un’esperienza comprovata per un particolare procedimento, passa a un ruolo completamente diverso. Per quanto tempo ancora questa persona si occuperà di questioni relative al suo precedente incarico? Probabilmente, molto più a lungo del tempo di transizione previsto. Le culture sono caratterizzate da una memoria ben radicata e una natura restia al cambiamento; ma in questi casi, è l’angolazione a fare la differenza.

Migliorare la cultura della propria azienda non sarà sicuramente un compito semplice, ma nemmeno impossibile. In questo contesto, scendere a compromessi non è mai un’opzione se si vuole tener fede ai propri obiettivi di sostenibilità.

La cultura della sostenibilità: che cos’è e come si presenta?

All’interno di un’organizzazione, la cultura della sostenibilità corrisponde all’idea che i dipendenti hanno in merito agli obiettivi, ai valori, alle convinzioni e alle aspettative dell’azienda in materia di sostenibilità. Che ne siate coscienti o meno, anche la vostra azienda ne ha una. La sua espressione, che può essere più o meno evidente, dipende da una serie di fattori: dagli atteggiamenti dei dirigenti nei confronti della presenza (o della mancanza) di meccanismi di responsabilità al modo in cui i dipendenti percepiscono il loro ruolo di agenti attivi nel processo di trasformazione.

Una solida cultura della sostenibilità si basa sulla convinzione collettiva che la sostenibilità è un imperativo e i dipendenti adottano comportamenti volti a sostenerla. 

  • L’azienda fa affidamento su una chiara vision di sostenibilità che permea l’intera organizzazione e costituisce fonte di ispirazione nonché motore di tutte le azioni, gli obiettivi, le strategie e i valori che portano a compimento tale visione.
  • La presenza di una vision, una strategia e obiettivi chiari comunica ai dipendenti, indipendentemente dal loro ruolo nell’azienda, che la sostenibilità ricopre un ruolo prioritario al pari del successo finanziario, dell’efficienza operativa, della salute, della sicurezza e di molti altri aspetti essenziali per l’azienda. Ciò significa che non può essere la prima voce di risparmio quando c’è da tirare la cinghia né il primo punto in agenda da depennare per facilitare il raggiungimento di altri obiettivi.
  • In quanto priorità, la sostenibilità è facilmente integrata nel processo decisionale a tutti i livelli ed esercita la sua influenza su tutti gli ambiti aziendali, dalla strategia commerciale ai KPI, fino agli obiettivi di performance dell’intera organizzazione. 
  • Tutti i collaboratori dimostrano una motivazione concreta e comprende appieno il proprio contributo significativo per fare passi avanti all’interno del programma di sostenibilità dell’organizzazione.
  • La sostenibilità rappresenta una componente chiave nei processi di onboarding nonché di learning and development.

Una cultura della sostenibilità debole, al contrario, è percepita come irrilevante e corollaria

  • I senior manager potrebbero negare l’esistenza del cambiamento climatico.
  • Non è presente né una vision né una strategia di sostenibilità. 
  • Il team di sostenibilità potrebbe essere isolato, non ricevere i finanziamenti necessari e risultare generalmente frainteso.
  • Potrebbe essere diffuso un senso generale di mancanza di responsabilità e di capacità tra i vari team, che non affrontano questioni legate alla sostenibilità.
  • I dipendenti non comprendono l’importanza della sostenibilità per l’azienda e, in alcuni casi, potrebbero essere addirittura all’oscuro di un’eventuale strategia di sostenibilità in essere.

Una forte cultura della sostenibilità crea i presupposti per la trasformazione. Le culture più deboli, invece, paralizzano le aziende e le costringono a mantenere lo status quo.

Ma che cosa accade se è invece l’intera cultura aziendale, nel suo stato più elementare, a impedire la promozione di una cultura della sostenibilità robusta e solida? Che succede quando le culture organizzative reagiscono troppo lentamente al cambiamento, anche quando ce ne sarebbe una necessità estremamente impellente? 

Cambiare è possibile, ma in questi casi richiede una profonda introspezione e un’azione globale e rivoluzionaria.

Cultura del cambiamento: la base di ogni trasformazione

Per dirla con le parole del leggendario management consultant Peter Drucker: “La cultura si mangia la strategia a colazione”. Di certo non aveva tutti i torti. Per riuscire a implementare un cambiamento significativo, duraturo e necessario, il fattore di successo più determinante sono proprio le persone.

Molte organizzazioni denotano una forte resistenza al cambiamento, che contrastano solo quando quest’ultimo risulta inevitabile. Per questo motivo molte iniziative all’insegna della sostenibilità, sebbene sostenute da una strategia ambiziosa e fondata su dati scientifici, da strumenti all’avanguardia e da un chiaro piano d’azione, sono destinate a fallire o produrre solo miglioramenti di minore entità. Il mondo del business premia l’affidabilità, i processi e le consuetudini. Un certo livello di cambiamento è accettato (ad es. per conformarsi a nuove normative ambientali o evitare controversie su questioni legate al clima), ma i cambiamenti profondi, quelli audaci e rivoluzionari, risultano estremamente controversi e vengono spesso accolti con una buona dose di scetticismo.

Considerare la sostenibilità da una mera prospettiva di conformità è tutt’altro che ideale. Il fatto è questo: in un ambiente in continua evoluzione, e sempre più imprevedibile; le aziende devono ripensare i loro processi e abbandonare un approccio aziendale statico, con nessuna possibilità di funzionare all’interno di un sistema dinamico, dove il cambiamento rappresenta l’unica certezza.

Creare resilienza per far fronte alla crisi ambientale in atto significa abbracciare il cambiamento.

Quindi, per rendere la sostenibilità parte integrante e componente intrinseca delle attività economiche, le aziende hanno innanzitutto il compito di inglobare una maggiore apertura al cambiamento a livello di cultura organizzativa e strategia commerciale. Inoltre, devono coltivare la loro capacità interna di cambiamento, ad esempio mediante la formazione dei dipendenti.

Stabilire una priorità, senza tuttavia predisporre un ecosistema trasversale a tutte le funzioni aziendali a sostegno di tale priorità, è una misura senza buone prospettive di successo. Se, per esempio, la vostra cultura aziendale si basa sula competizione e il contributo dell’individuo è l’indicatore principale di successo, non aspettatevi che un approccio basato sulla collaborazione possa risultare efficace. Allo stesso modo, se nella gestione delle performance sono unicamente gli obiettivi finanziari a determinare le ricompense, gli obiettivi non finanziari potrebbero non essere presi sul serio o essere visti solo come un risultato di secondaria importanza.

Fare introspezione: un prerequisito essenziale per gestire il cambiamento

Avere un ideale va bene, ma quando si cerca di cambiare una cultura è necessario in prima battuta analizzare e definire con onestà la cultura già esistente. Forse la vostra organizzazione ha caratteristiche culturali che vi concedono già una posizione di vantaggio. Oppure avete bisogno di sradicare alcune abitudini e convinzioni di lunga data? 

Una questione che mette costantemente in crisi i dirigenti è che la percezione della loro cultura e la cultura reale sono spesso in contrasto tra di loro

In alcuni casi, essi ripongono troppa fiducia nelle public relations, mentre in altri casi, invece, sono troppo distanti per avere anche solo un’idea concreta delle attività operative. Questi fattori si manifestano in aziende di tutte le dimensioni. 

Anche se non è semplice, i leader devono fare attenzione e ricordarsi sempre che la loro percezione e le loro convinzioni non sono infallibili. Richiedere l’aiuto di un consulente per svolgere un audit culturale può ovviare a questo problema, sebbene si possano ottenere risultati anche tramite un’attenta riflessione su precedenti tentativi di iniziative interne che non hanno avuto successo. Le cause di fallimento rivelano spesso il vero spirito della cultura aziendale 

Prendiamo ad esempio le politiche di rientro al lavoro in presenza. La pandemia ha incentivato il lavoro a distanza per pura necessità, eppure molte aziende faticano a convincere i propri dipendenti a tornare in ufficio e in alcuni casi ci hanno rinunciato del tutto. Altre, invece, stanno cercando di adottare modelli ibridi. Il CEO potrebbe serbare un ricordo positivo della robusta cultura presenziale, ma i dipendenti presenti già prima del COVID-19 potrebbero vederla in maniera del tutto diversa.  Potrebbero avere vivo in mente il ricordo delle continue interruzioni, oppure di un open space progettato come spazio di co-working pieno di persone che lavorano in silenzio o, al contrario, con persone al telefono con colleghi di altri uffici. 

Tutti questi fattori esemplificano appieno la cultura aziendale reale. Ma allora sorge spontanea la domanda: dove ha sbagliato il CEO? Si trattava solamente di un buon proposito, anche se poco plausibile? Di un’intuizione sbagliata nel vedere l’intero team presente in ufficio? Oppure semplicemente di un’idea che si basava più che altro sugli eventi organizzati dopo il lavoro o su altre attività extralavorative? Tutte queste ipotesi potrebbero essere possibili, ma è importante rendersi conto del percepito delle persone. 

Un bravo leader sa bene che più si scalano i vertici dell’azienda, maggiore sarà la distanza con le realtà quotidiane dell’organizzazione e, di conseguenza, la necessità di una maggiore programmazione.

Anche se parte dall’alto, non può essere imposto

Quando le cose si mettono male, mettete in discussione l’importanza del risultato? Se, in quanto leader, la vostra risposta non lascia alcuno spazio a riflessioni, forse è il caso di fare un esame di coscienza per capire perché non siete poi così convinti. 

È importante rimanere con i piedi per terra: anche voi siete esseri umani e la paura può rappresentare un potente ostacolo che previene dall’impegnarsi davvero a cambiare. Ricordatevi sempre che quello che per voi non costituisce una priorità, non lo sarà neanche per il resto dell’organizzazione. 

E questo vale spesso per le questioni in materia di sostenibilità ambientale. Di base, le aziende hanno obiettivi di crescita e proprio questa caratteristica può risultare l’ostacolo principale al raggiungimento di pratiche aziendali più sostenibili. E così funziona anche per i compensi dei dirigenti, spesso perfino per tutte le tipologie di riconoscimento delle performance a livello aziendale. 

Anche se gli obiettivi non finanziari non sono determinanti sulla vostra busta paga, comportatevi come se il fallimento non fosse comunque un’opzione (e francamente, non lo è) e diffondete tale convinzione su ampia scala. 

Non possono esserci dubbi sul fatto che tali questioni siano di estrema rilevanza per il CEO e per i vertici, e questo a tutti i livelli dell’organizzazione. La passione, infatti, può essere contagiosa. Negli ultimi 50 anni questo aspetto è stato fondamentale per costruire le culture delle startup tecnologiche di maggior successo.  

Potremmo dibattere sulla complessità di questo processo, ma una cosa è certa: il cambiamento culturale va ben oltre l’intento di un leader. L’intera organizzazione deve agire di concerto. 

Il punto di partenza più logico è diffondere gli obiettivi a cascata. Dopodiché è fondamentale sviluppare una comprensione collettiva dell’obiettivo e della sua importanza, creando un modello in cui i dipendenti di tutti i livelli e funzioni possano dare il loro contributo. 

Quando la sostenibilità pervade tutti gli angoli dell’organizzazione, le persone sapranno che fate sul serio. 

Democratizzare il cambiamento

Come avviene per qualsiasi altra iniziativa, dalla DEI (diversity, equity & inclusion) agli standard professionali, sviluppare e istituire una formazione adeguata sui temi della sostenibilità ambientale è fondamentale. Infatti, non possiamo pretendere che le persone adottino nuovi modelli di comportamento senza comprenderne il contesto o il risultato auspicato. 

I dipendenti devono capire che cos’è la sostenibilità e in che modo si traduce concretamente per il loro ruolo specifico. La formazione consente loro di identificare tutte le misure possibile e i fattori che al contrario potrebbero rappresentare un ostacolo. 

Partite da un presupposto: la vostra organizzazione è “geneticamente” programmata per mantenere a tutti i costi lo status quo. Senza una scossa dall’esterno, rivalutare pratiche funzionanti e ben consolidate comporta sempre una buona dose di riluttanza. Tenete inoltre sempre a mente che le persone hanno spesso un’idea poco flessibile di cosa significhi avere successo nel loro ruolo. Per un responsabile degli acquisti che, nel corso dell’intero mandato, ha sempre cercato modi per risparmiare, abbracciare le pratiche di approvvigionamento sostenibile non sarà di certo una passeggiata. Il management intermedio deve avere a disposizione un margine di manovra più ampio. 

Analogamente, a livello gestionale è necessario adottare un approccio realistico. Non sarà infatti mai possibile implementare appieno iniziative di approvvigionamento sostenibile se il budget per gli acquisti non ha alcun tipo di margine per affrontarne i costi più elevati. Considerate queste questioni come sfide imprenditoriali da risolvere piuttosto che come beghe aziendali su cui incaponirsi. 

Per tutti i livelli dell’organizzazione è indispensabile un meccanismo finalizzato ad ascoltare e accogliere le preoccupazioni. Sebbene possa trattarsi di un comportamento di natura culturale, le spinte alla base hanno comunque un carattere sistemico. Per supportare il cambiamento c’è infatti bisogno di grande sinergia tra tutti gli ambiti: finanze, competenze, garanzie, sistemi, politiche e procedure devono infatti collaborare con questo obiettivo comune. 

Per concludere, i dipendenti devono abbracciare il loro ruolo proattivo e percepirlo come qualcosa di positivo, comprendendo tutti gli standard di riferimento sia a livello aziendale che, ove possibile, a livello funzionale. Inoltre, il cambiamento va coltivato con tante relazioni e con i riconoscimenti pubblici di tutte le iniziative di successo. 

La cultura aziendale è composta da tante sfaccettature diverse, e questo vale anche per tutte le fasi necessarie per poterla rendere una cultura che abbracci il cambiamento (anziché la sua sentenza di morte).

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Sfruttare le “avoided emission” per accelerare la trasformazione e favorire la decarbonizzazione

emissioni evitate quantis
emissioni evitate quantis

Le avoided emission possono essere utili alle aziende per comprendere il loro impatto globale. Ma limitarsi a misurarle non è sufficiente per avere una crescita incisiva.

In sintesi:

  • Le avoided emission permettono alle aziende di ampliare la loro agenda climatica, fornendo le informazioni necessarie per sviluppare ed espandere soluzioni incisive nei mercati con un potenziale elevato di decarbonizzazione.
  • Le imprese possono sfruttare le avoided emission come metrica per individuare opportunità di innovazione, estendere le soluzioni su più ampia scala e facilitare le discussioni interne su come aumentare il proprio contributo alla riduzione delle emissioni globali.
  • Limitarsi a sommare le avoided emission  non basta. Per sfruttarle come leva efficace per la decarbonizzazione globale, le aziende devono impiegare le avoided emission  come uno strumento per esaminare e motivare il loro approccio alla crescita.
  • Le avoided emission  non annullano le emissioni prodotte dall’azienda e quindi non possono essere considerate per gli obiettivi aziendali in termini di carbon neutrality o di net zero.

Nella corsa per limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5° C, il contributo delle imprese alla decarbonizzazione globale è stato perlopiù incentrato sulla riduzione delle proprie emissioni dirette e indirette di gas serra (GHG). E a buon ragione: l’IPCC  ha dimostrato chiaramente che  riduzioni drastiche  e immediate in tutti i settori sono assolutamente necessarie se vogliamo scongiurare i peggiori scenari del cambiamento climatico. Ma per raggiungere lo net zero, gli interventi delle aziende contro la crisi climatica devono andare oltre il semplice “fare meno danni” e arrivare a fare attivamente “più cose buone”.

In aggiunta agli sforzi di riduzione, le aziende dovranno iniziare a fornire soluzioni climatiche con effetti di decarbonizzazione considerevoli per la società. L’impatto potenziale di queste azioni complementari è considerevole. Nel suo rapporto di sintesi AR6, infatti, l’IPCC segnala le strategie sul fronte della domanda come potenziali strumenti per diminuire le emissioni di gas serra del 40-70% entro il 2050.

Le avoided emission offrono alle aziende un modo per ampliare la loro agenda climatica, prendendo in considerazione l’impatto complessivo sulla società e fornendo metriche preziose per accelerare lo sviluppo e l’adozione di soluzioni dall’elevato potenziale di decarbonizzazione. E questo approccio sta prendendo piede. Stiamo già osservando un numero crescente di imprese che usano le loro avoided emission  come indicatore di sostenibilità. Il termine però può essere difficile da comprendere, causando greenwashing involontario. Cosa si intende esattamente con avoided emission? E le aziende come possono assicurarsi di usare le informazioni sulle avoided emission in una maniera credibile, che porti a conseguenze climatiche positive per la società?

Capire le avoided emission

Misurando le avoided emission le aziende possono determinare le riduzioni di emissioni che avvengono al di fuori del ciclo di vita e della supply chain aziendale dovute all’impiego di quel prodotto (cioè l’impatto “positivo” sulla società). Rappresentano la differenza tra le emissioni di GHG che sarebbero generate dal ciclo di vita di un prodotto tradizionale, e quelle causate da un prodotto alternativo con GHG ridotti: pensate ad esempio alla differenza tra latte vegetale e latte vaccino, o tra le lampadine a LED e quelle a incandescenza.

Il focus delle avoided emission è ridurre le emissioni nella società, al di fuori della catena del valore di un’azienda, offrendo prodotti o servizi che promuovano cambiamenti comportamentali o di mercato più ampi. Non si tratta quindi di ridurre l’inventario di gas serra dell’azienda stessa, ma di spostare l’impatto in termini di GHG al di fuori della sfera aziendale. Oltre ad aumentare le avoided emission, alcune soluzioni possono aiutare le imprese a diminuire le loro emissioni dirette e indirette (ad es. sostituendo prodotti animali con prodotti a base vegetale): uno scenario vantaggioso per tutti. Per le aziende i cui prodotti possono già essere considerati soluzioni climatiche, come ad esempio i pannelli solari, un aumento delle vendite, e quindi delle avoided emission, porterà anche a una crescita delle emissioni dell’impresa. Ecco perché per le aziende è fondamentale lavorare sulle avoided emission in aggiunta – e non in alternativa – agli sforzi compiuti per ridurre le proprie emissioni. Per mitigare la crisi climatica globale sono necessarie entrambe le azioni.

**Nota: le avoided emission sono diverse footprint della rosa dei gas serra e devono quindi essere indicate separatamente. Le avoided emission non cancellano le emissioni di un’azienda e quindi non dovrebbero essere considerate per gli obiettivi aziendali in termini di neutralità carbonica o di net zero. Per maggiori informazioni consultare la guida del WBCSD sulle avoided emission (“WBCSD Guidance on Avoided Emissions.”)**

Sfruttare le avoided emissions per supportare il processo decisionale + accelerare il cambiamento

Le avoided emission offrono alle aziende uno strumento efficace per accelerare l’azione per il clima su larga scala, fornendo le informazioni necessarie a sviluppare ed espandere soluzioni incisive nei mercati con un elevato potenziale di decarbonizzazione. Per di più, le aziende possono usare le analisi delle avoided emission per comunicare il loro contributo all’obiettivo  1,5°C.

Identificare opportunità di innovazione

Per raggiungere gli obiettivi climatici aziendali e globali (nonché quelli legati ad altri planetary boundaries, come la come la biodiversità e l’acqua), occorre un cambiamento sistemico. Come società, non possiamo continuare a produrre come abbiamo sempre fatto.

Le imprese possono sfruttare le analisi sulle avoided emissions per guidare la trasformazione dei modelli di business e sviluppare soluzioni che riducano le emissioni a livello globale. Questo richiederà una diversificazione o trasformazione del loro portafoglio di prodotti che sostituiranno i prodotti tradizionali con alternative dalle emissioni di gas serra minori. Dovranno anche guidare clienti e consumatori di determinati prodotti tradizionali o di intere categorie merceologiche, invogliandoli a sostituire articoli tradizionali con alternative a emissioni inferiori.

Ad esempio, spostando l’attenzione verso i consumatori di uno o più prodotti caseari tradizionali, un’azienda di prodotti a base vegetale potrebbe apportare un contributo maggiore alla decarbonizzazione globale,  offrendo alternative a emissioni ridotte. A titolo di riferimento, i “latticini” a base vegetale generano in media un terzo delle emissioni di gas serra delle controparti casearie (vaccine) e consumano meno terra e acqua. Per fare un altro esempio: un produttore di elettrodomestici ad alta efficienza energetica potrebbe creare un impatto climatico positivo offrendosi come alternativa ad apparecchi tradizionali e meno efficienti, seppur mantenendo la stessa funzionalità e presentandosi attraverso i canali di vendita e marketing occupati dai prodotti convenzionali.

Estendere le soluzioni su una scala più ampia

Le avoided emissions possono essere sfruttate dalle imprese come metrica per guidare in maniera strategica il processo decisionale relativo alle soluzioni e ai mercati a cui dare la priorità.

Per incrementare il loro contributo alla decarbonizzazione globale (e quindi alla riduzione delle emissioni sociali), le aziende devono o aumentare il tasso di sostituzione (ad es. puntando alla crescita in mercati specifici o per determinati consumatori) o ampliare il divario di emissioni tra il loro prodotto a basso tenore di carbonio e un prodotto tradizionale. Un’analisi delle avoided emission può aiutare le imprese a comprendere l’impatto sociale di diverse soluzioni in mercati differenti e così a identificare dove focalizzare risorse e sforzi per massimizzare la riduzione delle emissioni globali. Queste informazioni non solo facilitano il processo decisionale, ma permettono anche alle aziende di massimizzare il loro contributo alla decarbonizzazione globale. 

Comunicare l’impatto + cambiare i comportamenti

Probabilmente le avoided emissions sono note soprattutto per il loro uso come strumento di responsabilizzazione. Creano un linguaggio che le aziende possono sia usare internamente per discutere di come aumentare i “benefici” dei loro prodotti (ovvero il loro contributo alla decarbonizzazione globale attraverso la riduzione delle emissioni globali), sia per comunicare con i consumatori in modo credibile riguardo alle soluzioni con a basse emissioni.

Usando i dati sulle avoided emission, le aziende possono dar vita a narrazioni convincenti (e comprovate) sull’impatto climatico dei loro prodotti , fornendo ai consumatori una motivazione solida per scegliere un prodotto alternativo rispetto a uno tradizionale. In questo modo, le aziende possono influenzare i cambiamenti di mentalità e comportamento che servono per raggiungere l’obiettivo di 1,5° C.

Pensare agli obiettivi di vendita in modo strategico: sostituzione + cambiamento come indicatori di sostenibilità

All’apparenza, gli obiettivi relativi alle avoided emission possono essere visti come target di vendita: un’azienda deve vendere di più per evitare più emissioni. Ma c’è una sfumatura importante che sfugge a molte aziende e che impedisce loro di contribuire realmente alla decarbonizzazione globale. 

L’obiettivo primario delle avoided emission non è aggiungere più prodotti alternativi al mercato (cosa che, da sola, farebbe aumentare le emissioni nette globali); è anche sostituire i prodotti tradizionali ad alta intensità di GHG. Per farlo occorre puntare alla crescita nei mercati con il maggiore potenziale di sconvolgimento e, di conseguenza, il più elevato potenziale di decarbonizzazione. Va sottolineato che propagandare le avoided emission di una soluzione che non compensa effettivamente l’impatto di un prodotto tradizionale equivale a fare greenwashing.

L’obiettivo primario delle avoided emission è sostituire i prodotti ad alto tenore di carbonio nel mercato. Promuovere le avoided emission di una soluzione che non compensa effettivamente l’impatto di un prodotto tradizionale equivale a fare greenwashing.

Per sfruttare le analisi delle avoided emission come leva efficace per contribuire agli obiettivi globali di net zero, le aziende devono usarle come un strumento per esaminare e motivare il loro approccio alla crescita. In particolare, le avoided emission possono aiutare le aziende a definire: 

  1. Dove la loro soluzione abbia il potenziale per sostituire il numero maggiore di prodotti o i prodotti con il più elevato impatto di GHG (ad es. mercati dove il consumo di un prodotto ad alta intensità di GHG è elevato e dove le alternative a basse emissioni sono poche)  
  2. Su quali prodotti indirizzarsi per la sostituzione (importante: le aziende dovrebbero dare la priorità ai prodotti con il potenziale di cambiamento maggiore, concentrandosi sull’ampliamento del divario di emissioni tra prodotti tradizionali e alternative a GHG ridotti; conteggiare le avoided emission confrontandole con un prodotto analogo ad emissioni ridotte, come ad esempio latte di avena e latte di mandorla, è considerato greenwashing)
  3. Come ridurre l’impatto in relazione a un prodotto tradizionale

Per illustrare questo aspetto prendiamo l’esempio di Oatly, il più grande produttore al mondo di bevande a base di avena, che ha collaborato con Quantis per esplorare il concetto di avoided emission. Oatly ha un portafoglio di prodotti vegetali che comprende bevande, semifreddi, yogurt, creme spalmabili, ecc. Il divario di emissioni tra i prodotti venduti da Oatly (“soluzione”) e i prodotti tradizionali che sostituiscono (“riferimento”) rappresenta ciò che viene evitato. Per guidare una crescita strategica e sostenibile, l’azienda sta valutando dove crescere: in quali mercati la presenza maggiore di alternative vegetali sostituirà la produzione e il consumo di latticini; a quali prodotti caseari tradizionali puntare per la sostituzione; e come ridurre ulteriormente l’impatto dei propri prodotti rispetto all’alternativa tradizionale comparabile. 

Per quanto riguarda i luoghi dove sostituire i prodotti tradizionali per favorire il calo delle emissioni nella società, Oatly ha ampliato la sua attività in regioni con un consumo di latticini tradizionali storicamente elevato, come l’Europa settentrionale e il Nord America. Queste regioni offrono a Oatly un potenziale notevole in termini di avoided emission, perché le sue soluzioni a GHG ridotti hanno la possibilità di sostituire un numero significativo di prodotti ad alta intensità di emissioni. Oatly si sta espandendo anche in zone dove le opzioni vegetali alternative ai latticini sono relativamente poche, con l’intento di assumere un ruolo di leader in quei mercati e continuare a sostituire i prodotti caseari.

Vale la pena sottolineare che la mera presenza di un prodotto (e persino le sue credenziali di sostenibilità) non basta per cambiare preferenze e mentalità: è necessario che le persone vogliano comprarlo. Per orientare i comportamenti di acquisto dei consumatori verso alternative con meno GHG e sostituire efficacemente i prodotti tradizionali, le alternative devono essere comparabili o migliori (per es. sapore, composizione, prezzo, qualità, ecc.).

Le avoided emission offrono alle aziende uno strumento prezioso per accelerare la leadership climatica, ma se usate come mero stratagemma di marketing o solo per incentivare le vendite non riusciranno a produrre un cambiamento significativo. Le imprese possono ottenere un impatto positivo per la società se e quando usano le metriche sulle avoided emission per valutare in modo critico, motivare e riformulare i loro modelli e le strategie di business; dai prodotti che vendono ai fornitori con cui lavorano e ai mercati nei quali operano.

Il vostro contributo è legittimo… o è greenwashing? Una metodologia per comprendere il vostro impatto

Quindi, come possono fare le aziende a capire se la loro soluzione sta davvero portando a riduzioni delle emissioni significative per la società? Quantis ha lavorato insieme a Oatly per sviluppare una metodologia che può essere usata per misurare le avoided emission grazie al passaggio dai latticini tradizionali ai prodotti alternativi a base vegetale. Qui sotto vi forniamo una panoramica della metodologia e degli elementi chiave che le aziende devono misurare per comprendere le avoided emission complessive:

come calcolare le emissioni evitate quantis

Differenza di emissioni: per fare affermazioni comparabili tra due prodotti, le aziende devono effettuare analisi del ciclo di vita (life cycle assessment, LCA) conformi agli standard ISO, confrontando le emissioni di GHG generate da uno o più prodotti aziendali con le emissioni di GHG create dai prodotti tradizionali che si stanno sostituendo nel mercato. Se un prodotto è disponibile in più paesi di vendita, la procedura consigliata è analizzare i modelli a livello nazionale.

Volumi di vendita: le aziende dovranno anche raccogliere dati sulle vendite totali dei prodotti che stanno confrontando, in termini di volume (non di ricavi). Il volume delle vendite deve essere specifico per il prodotto che stanno analizzando e per il paese o i paesi in cui è venduto. 

Tasso di conversione: l’ultima informazione necessaria per calcolare le avoided emission è la percentuale di prodotti tradizionali sostituiti nel mercato rilevante dall’alternativa a GHG ridotti. Per ottenerla si può condurre un sondaggio tra i clienti al punto di vendita, per confermare se stanno acquistando i prodotti dell’azienda, se stanno sostituendo le opzioni tradizionali con i prodotti dell’azienda, quali prodotti tradizionali stanno sostituendo e quando hanno iniziato a rimpiazzare il prodotto tradizionale con l’alternativa offerta dall’azienda. Dato che cultura e consuetudini possono influire sui comportamenti di acquisto, il sondaggio deve essere condotto a livello nazionale (per lo meno per i mercati più rilevanti). Le domande devono includere le alternative principali e devono essere specifiche per il prodotto alternativo offerto dall’azienda.

Ad esempio, nel caso di Oatly, la domanda per definire il tasso di conversione era: “Cosa consumavi prima di iniziare a bere Oatly?” Il consumatore poteva scegliere tra “latte animale”, “altro latte a base vegetale”, “latte d’avena di un altro marchio”, “altre bevande come acqua, succo, bibite gassate, ecc.” e “prima non usavo niente, bevevo solo caffè senza latte”. Siccome il “prodotto tradizionale” o lo “scenario di riferimento” è il latte animale e “l’alternativa a bassi GHG” o “soluzione” è rappresentata dalle bevande Oatly, solo la quota di clienti che ha indicato che prima usava latte animale dovrebbe essere conteggiata nel calcolo del tasso di conversione. 

Pertanto, per calcolare le avoided emission, le aziende dovrebbero moltiplicare le 3 informazioni di cui sopra come segue:

calcolo emissioni evitate quantis

Il processo deve essere ripetuto per tutti i prodotti e i paesi che l’azienda desidera considerare nei suoi calcoli.

Seguire questa metodologia per misurare le avoided emission può aprire alle aziende nuove vie per ottenere un impatto significativo e velocizzare la decarbonizzazione globale in settori chiave dell’economia. Può portare a una prospettiva nuova e più ampia sul ruolo del mondo imprenditoriale nella lotta al cambiamento climatico. E, se replicata da molte aziende o da interi settori, può fornire un’indicazione dell’impatto che si genera trasformando i settori economici tradizionali.

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Un mondo più coraggioso: costruire una nuova economia planetaria secondo Quantis

A Braver New World: Building a planetary economy by Quantis

La società non è più in armonia con la natura. Fino ad oggi abbiamo vissuto un sistema economico in cui la logica del profitto ha prevalso sul benessere delle persone e sulla salute del pianeta. E adesso che ci ritroviamo a fronteggiare un’emergenza ambientale, non ci stiamo ancora muovendo nella direzione giusta. Non c’è più tempo: il momento di agire è adesso.

La scienza è chiara. E la chiarezza porta con sé opportunità e potere: il potere di scegliere il nostro futuro. Usando la scienza come bussola, Quantis è pronta a scendere in campo. E vogliamo che le aziende ci diano man forte. Insieme ai nostri partner e clienti, riscriviamo le regole del mondo aziendale per aprire la strada a una nuova economia che rispetti i limiti planetari. Scoprite la prospettiva Quantis nel nostro breve filmato.

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