Al debutto della COP 29 Quantis ha redatto un glossario, utile ad inquadrarla nel framework più ampio dei limiti planetari – quindi cambiamento climatico, ma anche uso del suolo e protezione della natura, biodiversità ed acqua.
Nei giorni del debutto (11 novembre 2024) della ventinovesima Conferenza delle Parti – che per parti intende i 197 Paesi che hanno ratificato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 29) – Quantis ha redatto un glossario, utile ad inquadrare nel framework più ampio dei limiti planetari – quindi cambiamento climatico, ma anche uso del suolo e protezione della natura, biodiversità ed acqua – le COP.
1) Convenzione Quadro
La prima parola chiave per COP 29 è Convenzione Quadro (UNFCCC – United Nations Framework Convention on Climate Change). Aperta alla firma dal 4 al 14 giugno 1992 a Rio de Janeiro e, in seguito, presso la sede delle Nazioni Unite dal 20 giugno 1992 al 19 giugno 1993 quando raggiunse le 166 firme, rappresenta il quadro di riferimento per la cooperazione internazionale contro il cambiamento climatico. Partendo da premesse molto chiare, ratificate pertanto dagli stati firmatari, rispetto al fatto che “le attività umane hanno fatto crescere in maniera significativa le concentrazioni di gas ad effetto serra (…) che implicheranno un aumento medio ulteriore della temperatura della superficie terrestre e dell’atmosfera con effetti potenzialmente avversi sugli ecosistemi e sul genere umano” si ripropone l’adozione di politiche comuni con l’obiettivo della “stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera ad un livello che impedisca pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico (…) entro un lasso di tempo sufficiente a consentire agli ecosistemi di adattarsi naturalmente al cambiamento climatico”.
La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici è stata ratificata in Italia nel 1994, con la legge n. 65 del 15/01/1994 (fonte ISPRA).
2) Accordo di Parigi
La seconda è accordo di Parigi. Si può definire un’implementazione (“Kyoto alla sesta potenza”) del precedente Protocollo di Kyoto, ratificato dall’Italia nel 2002 e sottoscritto nella terza COP. Adottato appunto a Parigi, nel 2015 durante la COP 21 ed entrato in vigore l’anno successivo, l’accordo è un trattato vincolante a livello globale, stipulato tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che ha sancito l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a un livello significativamente inferiore a 2 gradi Celsius, se possibile attestandosi su +1,5°, rispetto ai livelli preindustriali. Proprio a partire dalle posizioni e obiettivi comuni dell’Unione Europea rispetto al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi, ha preso le mosse la strategia comunitaria per la neutralità climatica europea al 2050, nota come Green Deal.
3) NDC
Uno degli strumenti già previsti dall’Accordo di Parigi per monitorare i progressi compiuti verso gli obiettivi climatici globali valutando gli impegni presi dai singoli Paesi – Nationally Determined Contributions (NDC) a ridurre le emissioni di gas serra, le misure adottate per adattarsi ai cambiamenti climatici, così come le strategie di attuazione e tempistiche per raggiungere tali obiettivi – era quello del Global Stocktake (Inventario Globale), presentato per la prima volta lo scorso anno, durante COP 28 a Dubai. Questo meccanismo di revisione periodica ha lo scopo di monitorare tramite dati scientifici e rapporti nazionali l’avanzamento dei Paesi rispetto agli impegni di riduzione delle emissioni al fine di orientare le politiche climatiche future verso l’adozione di nuove misure, strategie di adattamento, e investimenti finanziari necessari per raggiungere gli obiettivi climatici.
La COP29 è stata soprannominata la “COP finanziaria”, sentiremo infatti parlare molto del concetto di “climate finance” in riferimento ai flussi finanziari destinanti a sostenere progetti di mitigazione, adattamento ai cambiamenti climatici e riduzione delle emissioni.
4) Climate finance
L’agenda di COP29 prevede:
- l’aggiornamento, dopo 15 anni, del target annuale dell’ammontare dei finanziamenti destinati ai Paesi vulnerabili e finalizzati ad adottare soluzioni a basse emissioni per costruire la resilienza contro gli impatti climatici;.
- l’impegno al sostegno del Loss and Damage Fund (Fondo per le Perdite e i Danni), un meccanismo istituito durante la COP27 nel 2022 e che ha visto la luce ancora a COP28 con l’annuncio in sessione plenaria nel primo giorno di lavori. Si tratta di un fondo, a lungo dibattuto, che intende risarcire i Paesi più vulnerabili per i danni causati dai cambiamenti climatici, grazie ai contributi volontari di Paesi, organizzazioni e del settore privato.
L’adattamento al cambiamento climatico riguarda modifiche nei sistemi ecologici, sociali ed economici per rispondere agli effetti dei cambiamenti climatici. Si tratta di modificare pratiche, processi e strutture per ridurre i danni o sfruttare le opportunità legate al cambiamento climatico. Le azioni di adattamento variano a seconda del contesto e possono includere misure come difese contro le inondazioni, sistemi di allerta per i cicloni e colture resistenti alla siccità. Ogni comunità, paese o regione deve sviluppare soluzioni specifiche. Il successo dell’adattamento dipende dalla cooperazione di governi, settori pubblici e privati, e comunità locali. L’adattamento è una sfida globale che richiede azioni a livello locale, nazionale e internazionale, seguendo un approccio trasparente e basato sulla scienza, che consideri le conoscenze tradizionali e locali, e integri politiche socioeconomiche e ambientali.
5) Altre COP?
Infine, per inquadrare meglio il quadro globale dell’impegno di sostenibilità, è importante ricordare che si è recentemente conclusa a Cali, in Colombia, la sedicesima COP della Biodiversità.
La COP16 si proponeva di consolidare gli impegni assunti durante la COP15 (2022, Montreal), in cui 196 governi di tutto il mondo hanno approvato il “Global Biodiversity framework,” (GBF): un percorso per arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2050 attraverso la protezione del 30% delle terre e degli oceani del mondo entro il 2030, la riduzione dell’inquinamento e la promozione dell’uso sostenibile delle risorse.
Questa COP ha come carta fondamentale la Convenzione sulla diversità biologica (CBD), siglata al Summit della Terra di Rio de Janeiro nel 1992 con obiettivo di stabilire programmi, impegni e quadri d’azione per garantire la protezione della varietà di organismi viventi nelle diverse forme e nei rispettivi ecosistemi.
Infine, nel mese di dicembre, a Ryad, si svolgerà la sedicesima COP sulla desertificazione. Come la COP sulla biodiversità ha cadenza biennale; intende mettere sotto i riflettori il tema della vulnerabilità alla desertificazione ed ha come atto fondativo la Convenzione delle Nazioni Unite volta a combattere la desertificazione (l’acronimo questa volta è UNCCD).
5+1) Come funziona una COP?
Tutte le Conference of Parties utilizzano lo stesso lessico durante i lavori. Sia per quanto riguarda le delegazioni che gli spazi di discussione. È importante sapere che:
- esistono tre categorie di partecipanti alle riunioni e alle conferenze: rappresentanti delle Parti della Convenzione e degli Stati osservatori, membri della stampa e dei media e rappresentanti delle organizzazioni “osservatori”;
- le organizzazioni “osservatori” sono ulteriormente suddivise in tre tipologie: il sistema delle Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate, le organizzazioni intergovernative (IGO) e le organizzazioni non governative (ONG), in rappresentanza di diversi interessi, dai giovani alle popolazioni indigene, fino all’accademia. Per dare un’idea dei numeri delle COP, a COP 28, le organizzazioni “osservatori” sono state 3.804 (3.631 ONG e 173 IGO) mentre il numero degli individui presenti ha raggiunto la cifra record di 84.000;
- A partire dalla terza COP è stata creata una categoria di badge “party “overflow” delegates”, per coloro che prendono parte alla COP senza che il loro nome compaia nell’elenco ufficiale dei partecipanti. Ovvero, che non parteciperanno alle negoziazioni, che si svolgono a porte chiuse, ma saranno ammessi in due zone di dialogo “allargato, con politiche di ammissione meno restrittive: la Blue Zone e la Green Zone.
- Nella Blue Zone, ogni Paese ha un padiglione in cui organizza eventi collaterali per la condivisione delle migliori prassi, il networking e la promozione delle proprie politiche di sostenibilità; nella Green Zone sono presenti anche stand aziendali e sono organizzati eventi collaterali volti a favorire il dialogo con il settore privato e la società civile.
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